3 Maggio 2012
Ciao, io sono Giulia e ho
quattordici anni. Tutti mi chiamano Giuliè, ma non a causa del diminutivo.
Quando ero piccola e qualcuno mi chiedeva “Dov’è Giulia?”, io rispondevo sempre
“ Giu lì è” e così, da allora, sono diventata Giuliè. Mi chiamano così anche in
classe. Frequento il primo anno al Classico. Abito in una grande città, in
periferia. Non è un bel posto questo, per vivere. I palazzoni sono tutti
uguali, costruiti negli anni settanta e mai ristrutturati. Sono tutti grigi e
nei piloni il cemento cede e lascia in vista l’armatura di ferro, già
arrugginita. E’ uno di quei quartieri ormai abitati solo da famiglie
extracomunitarie. D’italiani ne siamo rimasti ben pochi. Mio padre è nato qui,
tanto tempo fa, ma una volta, dice lui, il quartiere era bello, sicuro, adatto
per le famiglie. Lui odia gli stranieri. Non parla mai con nessuno. Io, invece,
ne conosco tanti, soprattutto i latinoamericani. Una delle ragazze del quinto
piano viene anche a scuola con me. E’ brava; forse è anche più brava di me,
soprattutto in italiano.
C’è una famiglia che mio
padre non può sopportare. Li odia, li odia davvero. Credo che tutto sia
iniziato qualche anno fa, per una lite in merito al bucato che la signora
Romero stende sul balcone. Il continuo gocciolio dell’acqua che cadeva dai
panni bagnati rovinò una camicia di mia madre, stesa al piano di sotto. In
pochi minuti si scatenò una rissa e lui e il signor Romero vennero anche
portati nella stazione di Polizia. Da quel momento non ha più voluto sentir
parlare di quella famiglia. Allora avevo
nove, dieci anni, non ricordo bene, ma, per alcuni anni anch’io ho ignorato la
famiglia Romero. Avevo paura di loro, di tutti loro. E’ una grande famiglia. Sono
in sei. Vivono in un appartamento di settanta metri quadri e, spesso, mi chiedo
come facciano a sopportarsi a vicenda. Sono allegri, rumorosi, giovani. I
signori Romero hanno quattro figli, due femmine e due maschi. Sono nati tutti a
distanza di due anni l’uno dall’altro. La maggiore ha ventidue anni. Il minore
ne ha sedici. Solo due più di me.
Si chiama Josè Romero. Ci
siamo innamorati, ma non lo posso dire a nessuno. Mio padre morirebbe dal
dolore e dalla rabbia e mi vieterebbe di incontrarlo.
Sul mio blog (sì, ho un
blog personale) non posso scrivere che amo Josè e non lo posso dire nemmeno
alle mie amiche di scuola. Solo Amina, quella del quinto piano, lo sa, ma con
lei sto al sicuro. Lei non parlerà mai con mio padre, anche perché lui non ha
nessuna intenzione di rivolgerle la parola. Per parlare del mio amore mi rimane
solo questo diario segreto, con la copertina di Barbie. La mamma me lo regalò
il giorno in cui compii undici anni. Non l’avevo mai usato prima di questo
momento. Lo trovavo ridicolo. La mamma non lo sa che esistono i computer, i
social network, i blog. Lei è una vecchia romantica e pensa che carta e
inchiostro siano il solo metodo da usare per scrivere. Forse ha ragione lei.
A scuola stiamo studiando
Shakespeare. La settimana scorsa la prof. di lettere ci ha parlato di Giulietta
e Romeo. Amina si è girata verso di me e mi ha teso un bigliettino piegato a
metà. L’ho aperto senza farmi vedere dalla prof. e mi sono messa a ridere.
Aveva disegnato un cuore trafitto a metà da una freccia e aveva scritto “Giuliè
e Romero, la storia continua.”
Non ci avevo fatto caso,
prima di quel momento, ma la coincidenza mi è sembrata davvero strana. Però io
la fine di Giulietta non la voglio fare. Nemmeno per sogno. Siamo nel duemiladodici e quelle cose non
succedono davvero più. Però, per il momento, preferisco che mio padre non lo
sappia.
Ho smesso per un attimo di
scrivere. Josè ha fatto scendere la corda dal suo balcone ed io mi sono
affacciata. Quello è il nostro segnale. La nostra storia è iniziata così,
l’estate scorsa. Fa caldo in periferia. Non si sono parchi da queste parti e i
pochi giardini sono incolti e sono terreno per lo spaccio. Non ci va nessuno.
Non ci va nemmeno Josè, anche se mio padre pensa che appartenga a una famiglia
deviata e con problemi. Ce ne stavamo sul balcone, io sul mio e lui sul suo.
Prendevamo il sole, in costume. Lui si
affacciò e mi chiamò, invitandomi ad avvicinarmi. Lo guardai per un attimo e
pensai che era bellissimo. Era in pantaloncini e aveva un fisico da urlo.
Arrossii, ma lui non se ne accorse. Iniziammo a parlare e continuammo così per
qualche giorno. Parlavamo dai balconi, ci conoscevamo così, in lontananza,
chattando con la voce.
Dopo, però, ci siamo
conosciuti davvero e non ci siamo più lasciati. Oggi pomeriggio abbiamo parlato
un po’ e ci siamo dati appuntamento per stasera. Ho il tram alle diciotto. Ogni
giovedì vado al corso di disegno. Lui mi aspetterà alla terza fermata. Così
nessuno potrà vedere che viaggiamo insieme.
Ora, però, smetto di
scrivere. Devo finire uno dei miei disegni e poi mi devo preparare per il
corso.
18 Maggio
2012
Non scrivevo da molti
giorni. In due settimane è successo di tutto. Mio padre ha scoperto la storia
con Josè e mi ha reso la vita davvero difficile. Però ho vinto io. Lo avevo
detto che non avrei fatto la fine di Giulietta.
E’ successo tutto quel giovedì, sul tram. Ci stavamo baciando e non mi
accorsi che mio padre era salito. Aveva trovato la sua auto con una gomma a
terra e aveva deciso di tornare a casa con i mezzi pubblici. Forse è stato
meglio che ci abbia scoperto lui. Io, forse, non avrei mai avuto il coraggio di
dirglielo.
L’urlo che cacciò fuori
spaventò tutti. Mi spaventai anch’io. Avevo riconosciuto la voce e non potevo
credere che fosse davvero lui. Josè fu stupendo. Non si allontanò e non si scusò.
Gli disse che mi amava e che non intendeva lasciarmi. Glielo dissi anch’io, ma
mi beccai uno schiaffo. Me la diede mentre mi trascinava in casa e mi chiudeva
nella mia camera. Chiusa a chiave, non ci potevo credere! Mi tenne chiusa per due giorni, ma non mi
tolse il cellulare. Che sciocco! La sera del secondo giorno Josè mi disse che
sarebbe venuto a parlargli, insieme a suo padre. Lo fecero davvero. Ah! L’amore
mio che uomo che è a sedici anni! Un vero uomo e mi ama. Mio padre fu costretto
a riaprire la porta e a farmi uscire.
Ribadii, per l’ennesima
volta, che io amavo Josè e che non lo avrei mai lasciato. Dissi a mio padre che
doveva mettersi il cuore in pace e arrendersi di fronte all’evidenza. Gli dissi
anche che, ormai, vivevamo in una società globalizzata e che non si dovevano
fare distinzioni di razze o religione. Dissi che il suo punto di vista era
completamente distorto e che l’amore è
amore, a quattordici o trent’anni.
Lui non mi rispose mai. Lasciò la stanza senza dire nemmeno una parola.
Non mi ha parlato per
quindici giorni, ma,oggi, è entrato in camera e si è seduto sul letto, accanto
a me. Sembrava diverso.
“Ne ho parlato con
l’analista” mi ha detto, confessandomi una cosa che, qualche giorno fa, non
avrebbe mai fatto.
“Abbiamo parlato di te e
del tuo Romero. Il dottore ha sorriso nel sentire i vostri nomi. Giulia
Caputi e Josè Romero. Come Giulietta e
Romeo e il loro amore contrastato. Mi ha consigliato di lasciarti vivere il tuo
amore con la leggerezza dei tuoi anni e di non influenzarti con le mie paure.
Ha ragione lui, Giuliè. Hai il diritto di vivere il tuo amore con la leggerezza
che si ha solo a quattordici anni. Però mi raccomando, non fare sciocchezze” mi
ha detto, passandomi una mano fra i capelli.
Quando è andato via, ho telefonato
al mio Romero. Gli ho raccontato quello che era successo con mio padre e le
parole che mi aveva detto. Lui è andato a comprare dei fiori per mia madre, poi
ha suonato alla porta. I fiori erano bellissimi e mia madre li ha graditi
molto. Ho chiesto a mio padre il permesso di uscire con lui. Voglio rispettare
i miei genitori, in fondo sono ancora minorenne e mio padre, oggi, ha dato
dimostrazione di grande rispetto ,per me. Mi ha trattata da adulta, ha tenuto
conto dei miei sentimenti. Il suo analista
è davvero bravo, non c’è che dire. Ha fatto un ottimo lavoro con lui.
Sulle scale abbiamo
incontrato Amina. “Ciao,novelli Giuliè e Romero”ha scherzato, mentre ci
salutava. Anche lei sa tutto sulla
chiacchierata che ho fatto con mio padre. L’ho chiamata subito dopo aver
parlato con Josè. Lei è la mia più cara amica.
19 maggio 2012
Oggi, a scuola, la prof.
di lettere ci ha assegnato un tema. Il titolo era il seguente : “ Parlate della
storia di Giulietta e Romeo e dite perché, secondo voi, il loro amore finì in
maniera così tragica.”
Devo ammettere che il mio
tema mi è piaciuto molto. Avevo tante cose da dire e ho scritto tantissimo,
quasi sei facciate di foglio protocollo. Ma, soprattutto, mi è piaciuto come mi
è venuto il finale. Lo devo scrivere anche qui, perché non voglio
dimenticarmelo mai.
“Se ai tempi di Giulietta
e Romeo fosse esistita l’ analisi cognitiva, forse , o quasi sicuramente, la
storia avrebbe avuto un finale diverso. Proprio come la mia .”
L’avevo detto che non
avrei fatto la fine di Giulietta.
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