martedì 22 maggio 2012

«CIAO, IO SONO GIULIA» il racconto per il concorso Indagine su Giulietta di Lorena Marcelli


 3  Maggio 2012
Ciao, io sono Giulia e ho quattordici anni. Tutti mi chiamano Giuliè, ma non a causa del diminutivo. Quando ero piccola e qualcuno mi chiedeva “Dov’è Giulia?”, io rispondevo sempre “ Giu lì è” e così, da allora, sono diventata Giuliè. Mi chiamano così anche in classe. Frequento il primo anno al Classico. Abito in una grande città, in periferia. Non è un bel posto questo, per vivere. I palazzoni sono tutti uguali, costruiti negli anni settanta e mai ristrutturati. Sono tutti grigi e nei piloni il cemento cede e lascia in vista l’armatura di ferro, già arrugginita. E’ uno di quei quartieri ormai abitati solo da famiglie extracomunitarie. D’italiani ne siamo rimasti ben pochi. Mio padre è nato qui, tanto tempo fa, ma una volta, dice lui, il quartiere era bello, sicuro, adatto per le famiglie. Lui odia gli stranieri. Non parla mai con nessuno. Io, invece, ne conosco tanti, soprattutto i latinoamericani. Una delle ragazze del quinto piano viene anche a scuola con me. E’ brava; forse è anche più brava di me, soprattutto in italiano.
C’è una famiglia che mio padre non può sopportare. Li odia, li odia davvero. Credo che tutto sia iniziato qualche anno fa, per una lite in merito al bucato che la signora Romero stende sul balcone. Il continuo gocciolio dell’acqua che cadeva dai panni bagnati rovinò una camicia di mia madre, stesa al piano di sotto. In pochi minuti si scatenò una rissa e lui e il signor Romero vennero anche portati nella stazione di Polizia. Da quel momento non ha più voluto sentir parlare di quella famiglia.  Allora avevo nove, dieci anni, non ricordo bene, ma, per alcuni anni anch’io ho ignorato la famiglia Romero. Avevo paura di loro, di tutti loro. E’ una grande famiglia. Sono in sei. Vivono in un appartamento di settanta metri quadri e, spesso, mi chiedo come facciano a sopportarsi a vicenda. Sono allegri, rumorosi, giovani. I signori Romero hanno quattro figli, due femmine e due maschi. Sono nati tutti a distanza di due anni l’uno dall’altro. La maggiore ha ventidue anni. Il minore ne ha sedici. Solo due più di me.
Si chiama Josè Romero. Ci siamo innamorati, ma non lo posso dire a nessuno. Mio padre morirebbe dal dolore e dalla rabbia e mi vieterebbe di incontrarlo.
Sul mio blog (sì, ho un blog personale) non posso scrivere che amo Josè e non lo posso dire nemmeno alle mie amiche di scuola. Solo Amina, quella del quinto piano, lo sa, ma con lei sto al sicuro. Lei non parlerà mai con mio padre, anche perché lui non ha nessuna intenzione di rivolgerle la parola. Per parlare del mio amore mi rimane solo questo diario segreto, con la copertina di Barbie. La mamma me lo regalò il giorno in cui compii undici anni. Non l’avevo mai usato prima di questo momento. Lo trovavo ridicolo. La mamma non lo sa che esistono i computer, i social network, i blog. Lei è una vecchia romantica e pensa che carta e inchiostro siano il solo metodo da usare per scrivere. Forse ha ragione lei.

A scuola stiamo studiando Shakespeare. La settimana scorsa la prof. di lettere ci ha parlato di Giulietta e Romeo. Amina si è girata verso di me e mi ha teso un bigliettino piegato a metà. L’ho aperto senza farmi vedere dalla prof. e mi sono messa a ridere. Aveva disegnato un cuore trafitto a metà da una freccia e aveva scritto “Giuliè e Romero, la storia continua.”
Non ci avevo fatto caso, prima di quel momento, ma la coincidenza mi è sembrata davvero strana. Però io la fine di Giulietta non la voglio fare. Nemmeno per sogno.  Siamo nel duemiladodici e quelle cose non succedono davvero più. Però, per il momento, preferisco che mio padre non lo sappia.

Ho smesso per un attimo di scrivere. Josè ha fatto scendere la corda dal suo balcone ed io mi sono affacciata. Quello è il nostro segnale. La nostra storia è iniziata così, l’estate scorsa. Fa caldo in periferia. Non si sono parchi da queste parti e i pochi giardini sono incolti e sono terreno per lo spaccio. Non ci va nessuno. Non ci va nemmeno Josè, anche se mio padre pensa che appartenga a una famiglia deviata e con problemi. Ce ne stavamo sul balcone, io sul mio e lui sul suo. Prendevamo il sole, in costume.  Lui si affacciò e mi chiamò, invitandomi ad avvicinarmi. Lo guardai per un attimo e pensai che era bellissimo. Era in pantaloncini e aveva un fisico da urlo. Arrossii, ma lui non se ne accorse. Iniziammo a parlare e continuammo così per qualche giorno. Parlavamo dai balconi, ci conoscevamo così, in lontananza, chattando con la voce. 
Dopo, però, ci siamo conosciuti davvero e non ci siamo più lasciati. Oggi pomeriggio abbiamo parlato un po’ e ci siamo dati appuntamento per stasera. Ho il tram alle diciotto. Ogni giovedì vado al corso di disegno. Lui mi aspetterà alla terza fermata. Così nessuno potrà vedere che viaggiamo insieme.
Ora, però, smetto di scrivere. Devo finire uno dei miei disegni e poi mi devo preparare per il corso.


18 Maggio 2012
Non scrivevo da molti giorni. In due settimane è successo di tutto. Mio padre ha scoperto la storia con Josè e mi ha reso la vita davvero difficile. Però ho vinto io. Lo avevo detto che non avrei fatto la fine di Giulietta.  E’ successo tutto quel giovedì, sul tram. Ci stavamo baciando e non mi accorsi che mio padre era salito. Aveva trovato la sua auto con una gomma a terra e aveva deciso di tornare a casa con i mezzi pubblici. Forse è stato meglio che ci abbia scoperto lui. Io, forse, non avrei mai avuto il coraggio di dirglielo.
L’urlo che cacciò fuori spaventò tutti. Mi spaventai anch’io. Avevo riconosciuto la voce e non potevo credere che fosse davvero lui. Josè fu stupendo. Non si allontanò e non si scusò. Gli disse che mi amava e che non intendeva lasciarmi. Glielo dissi anch’io, ma mi beccai uno schiaffo. Me la diede mentre mi trascinava in casa e mi chiudeva nella mia camera. Chiusa a chiave, non ci potevo credere!  Mi tenne chiusa per due giorni, ma non mi tolse il cellulare. Che sciocco! La sera del secondo giorno Josè mi disse che sarebbe venuto a parlargli, insieme a suo padre. Lo fecero davvero. Ah! L’amore mio che uomo che è a sedici anni! Un vero uomo e mi ama. Mio padre fu costretto a riaprire la porta e a farmi uscire.
Ribadii, per l’ennesima volta, che io amavo Josè e che non lo avrei mai lasciato. Dissi a mio padre che doveva mettersi il cuore in pace e arrendersi di fronte all’evidenza. Gli dissi anche che, ormai, vivevamo in una società globalizzata e che non si dovevano fare distinzioni di razze o religione. Dissi che il suo punto di vista era completamente distorto e che l’amore è  amore, a quattordici o trent’anni.  Lui non mi rispose mai. Lasciò la stanza senza dire nemmeno una parola.

Non mi ha parlato per quindici giorni, ma,oggi, è entrato in camera e si è seduto sul letto, accanto a me. Sembrava diverso.
“Ne ho parlato con l’analista” mi ha detto, confessandomi una cosa che, qualche giorno fa, non avrebbe mai fatto.
“Abbiamo parlato di te e del tuo Romero. Il dottore ha sorriso nel sentire i vostri nomi. Giulia Caputi  e Josè Romero. Come Giulietta e Romeo e il loro amore contrastato. Mi ha consigliato di lasciarti vivere il tuo amore con la leggerezza dei tuoi anni e di non influenzarti con le mie paure. Ha ragione lui, Giuliè. Hai il diritto di vivere il tuo amore con la leggerezza che si ha solo a quattordici anni. Però mi raccomando, non fare sciocchezze” mi ha detto, passandomi una mano fra i capelli.
Quando è andato via, ho telefonato al mio Romero. Gli ho raccontato quello che era successo con mio padre e le parole che mi aveva detto. Lui è andato a comprare dei fiori per mia madre, poi ha suonato alla porta. I fiori erano bellissimi e mia madre li ha graditi molto. Ho chiesto a mio padre il permesso di uscire con lui. Voglio rispettare i miei genitori, in fondo sono ancora minorenne e mio padre, oggi, ha dato dimostrazione di grande rispetto ,per me. Mi ha trattata da adulta, ha tenuto conto dei  miei sentimenti. Il suo analista è davvero bravo, non c’è che dire. Ha fatto un ottimo lavoro con lui.
Sulle scale abbiamo incontrato Amina. “Ciao,novelli Giuliè e Romero”ha scherzato, mentre ci salutava. Anche lei sa tutto sulla  chiacchierata che ho fatto con mio padre. L’ho chiamata subito dopo aver parlato con Josè. Lei è la mia più cara amica.

19 maggio 2012
Oggi, a scuola, la prof. di lettere ci ha assegnato un tema. Il titolo era il seguente : “ Parlate della storia di Giulietta e Romeo e dite perché, secondo voi, il loro amore finì in maniera così tragica.”
Devo ammettere che il mio tema mi è piaciuto molto. Avevo tante cose da dire e ho scritto tantissimo, quasi sei facciate di foglio protocollo. Ma, soprattutto, mi è piaciuto come mi è venuto il finale. Lo devo scrivere anche qui, perché non voglio dimenticarmelo mai.
“Se ai tempi di Giulietta e Romeo fosse esistita l’ analisi cognitiva, forse , o quasi sicuramente, la storia avrebbe avuto un finale diverso. Proprio come la mia .”
L’avevo detto che non avrei fatto la fine di Giulietta.

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