Il cellulare vibrò per l’ennesima volta.
Giulietta lo afferrò con rabbia. Guardò lo schermo che le confermò
l’autore della chiamata. Gettò il telefonino sul letto. E pianse di rabbia, paura,
solitudine e impotenza. Ormai le telefonava
anche cinquanta, cento volte al
giorno e lui si giustificava dicendo che
era “amore”, ma lei ormai aveva capito
che il suo era un amore malato, un amore che portava dolore e non gioia. Si
rannicchiò sul letto e tirò su il copriletto, all’improvviso sentiva freddo :
la sua stanza non era più un rifugio sicuro, lui poteva raggiungerla anche lì
dentro , in qualunque momento del giorno o della notte.
All’inizio era stato quasi bello: lui gentile,
premuroso, romantico , le aveva fatto una corte appassionata. Lei travolta da
tanto impeto , si era lasciata andare senza troppa convinzione.
Teo era di buona famiglia, studiava all’università e nel suo futuro
c’era l’ingresso nello studio legale del padre.
Giulietta in qualche modo ne rimase incantata.
Ma con il
passare del tempo Giulietta iniziò a
provare una strana inquietudine a cui non riusciva a dare un nome o una
spiegazione. Teo la incalzava, la forzava in ogni sua scelta, pianificava
minuziosamente le sue giornate, facendola sentire prigioniera in una sottile ma
resistente ragnatela.
Provò a parlarne con la madre, che tagliò corto con
un “è innamorato” che le troncò ogni ulteriore confidenza. Con suo padre non
provò nemmeno, lui era contento che un ragazzo di così buona famiglia si
interessasse di sua figlia: era la giusta sistemazione per la ragazza.
Il crepuscolo colorava le pareti della camera con un
tenue colore rossastro, formando strani disegni. Giulietta li fissava, senza
realmente vederli. Qual era la sua via d’uscita? Quale prospettiva aveva?
Il cellulare vibrò . La ragazza sobbalzò per l’ennesima
volta e guardò sconsolata lo schermo. Stavolta però non era lui. Era Romeo.
Rispose alla chiamata, o almeno cercò di farlo, riuscì soltanto a singhiozzare
.
- Cosa succede? Stai male?- , la voce calda di Romeo le sembrò la zattera su cui issarsi proprio qualche momento prima di annegare nel mare della disperazione. E preso un lungo respiro, gli raccontò tutto in un fiato, senza incertezze, senza pudore. E a mano a mano che gli raccontava , sentiva che lui , d’altra parte del filo, con il fiato sospeso, la ascoltava e la capiva.
- Cosa succede? Stai male?- , la voce calda di Romeo le sembrò la zattera su cui issarsi proprio qualche momento prima di annegare nel mare della disperazione. E preso un lungo respiro, gli raccontò tutto in un fiato, senza incertezze, senza pudore. E a mano a mano che gli raccontava , sentiva che lui , d’altra parte del filo, con il fiato sospeso, la ascoltava e la capiva.
-
Sei andata alla polizia? Questo è
stalking, lo sai? E’ un reato. I tuoi cosa dicono? –
-
Dicono che sono esagerata, che lui è un
po’ impetuoso, ma tanto innamorato….-
-
Ora stai calma, stai tranquilla, ci
penso io. Ma smetti di piangere, non sopporto di sentirti piangere. Ok?-
Giulietta annuì, poi si rese conto che lui non
poteva vederla e allora sussurrò un “sì” pieno di speranza.
E lui , con audacia mai tentata prima la lasciò con
un “buonanotte , amore” che lasciò Giulietta sorpresa e felice. Si raggomitolò
sotto le coperte e si addormentò , dopo aver chiuso nel cassetto del comodino
il cellulare che aveva ripreso a vibrare.
“Ci penso io” aveva detto; come , in che modo a
Giulietta non importava. “Ci penso io”, aveva detto e si aggrappò a quelle tre parole che dovevano
essere la sua salvezza.
La madre la svegliò scuotendole piano i piedi, come
faceva quando era piccola , per non spaventarla:
-
C’è Teo giù dal portone , ha detto che
ti deve dire una cosa importante. Non vuole salire, dice che vuol parlarti da
sola. Dai vestiti, non farlo aspettare..-
-
Ma che ore sono? – la ragazza si tirò su
a sedere nel letto.
-
Sono quasi le 7 , dai ,che poi devi
andare a scuola..- la incalzò la madre.
Giulietta scese dubbiosa dal letto e si infilò in bagno:
“deve parlarmi? Forse Romeo è riuscito a convincerlo a lasciarmi stare…Forse
davvero è l’ultima volta “ e si riavviò i lunghi capelli. Si lavò denti e
faccia e così come era, senza trucco, uscì dal bagno infilò i soliti jeans e la
prima maglietta che le era capitata fra
le mani e uscì di casa.
Due rampe di scale , i gradini scesi a due a due,
mentre il cellulare in tasca ancora una volta vibrava insistente.
Nell’atrio del portone Teo, bello nella t-shirt
aderente che metteva in risalto le forme armoniose. Lanciava sguardi irrequieti da una
parte e dall’altra. Giulietta si fermò a pochi passi da lui.
-
Che vuoi? – gli gettò in faccia tutto il
suo disprezzo.
-
Non mi rispondi quando chiamo, non vuoi
uscire con me, ti sei forse dimenticata che sei la mia ragazza? Oppure c’è
qualcun altro? –
-
Teo, devi lasciarmi in pace, ti prego-
usò un tono conciliante, era già molto arrabbiato, lo vedeva e non voleva
provocarlo.
-
Mi stai lasciando?- un sorriso
terrificante gli apparve sul viso.
Giulietta rimase in silenzio . Quel silenzio a
Teo sembrò una conferma. Tirò fuori all’improvviso il braccio che
aveva tenuto in tasca per tutto il tempo. In mano stringeva un coltello . Si
avventò addosso a Giulietta e continuò a colpirla, a colpirla , a colpirla,
finchè esausto si accasciò accanto al corpo di lei , scivolato a terra in posizione fetale. Non le aveva lasciato
nemmeno il tempo di gridare. Guardò quello che aveva fatto e ne ebbe la
consapevolezza. Gettò lontano da sé il coltello, si girò e cominciò a correre.
Nella corsa urtò un giovane. Lo spintonò infastidito
e si allontanò mischiandosi alle persone che si avviavano alla fermata del bus.
La città lentamente , quasi pigra, si stava svegliando. Lontano un
clacson, vicino il rombare di un
motorino truccato.
Romeo in un lampo ebbe la certezza di essere
arrivato troppo tardi. Rallentò i propri passi, ma ormai era arrivato e vide.
Vide la sua Giulietta a terra. I lunghi capelli scuri a ventaglio
attorno al volto pallido, rannicchiata
in una estrema inutile difesa. Romeo crollò in ginocchio accanto al corpo ,
inebetito; i suoi occhi incapaci di registrare la realtà di quella tragedia.
Poi vide il coltello. Anche attraverso il velo di lacrime distinse chiaramente
la lama insanguinata. Si alzò come in trance e raccolse l’arma. L’aveva amata
in silenzio, aspettando fiducioso il momento in cui lei si sarebbe accorta di
lui. Accontentandosi di un sorriso di sfuggita, di un saluto frettoloso al
cellulare, delle due chiacchiere fatte prima di entrare in classe, di vederla
passare sorridente insieme alle sue amiche. A poco a poco aveva visto il suo
sorriso spegnersi, giorno dopo giorno il suo sguardo incupirsi. Sfioriva ,la
sua Giulietta sfioriva come un bocciolo di
rosa strappato alla pianta e
lasciato a illanguidire in un bicchiere colmo d’acqua. Petalo dopo petalo fino
a restare curvo su stesso , nudo e triste. Così lei. Aveva perso la gioiosa
freschezza dei suoi sedici anni , ed era entrata nell’ombra senza età del
dolore.
La sua strada l’aveva portata fino all’atrio del suo
portone di casa, gettata sul pavimento sbiadito da anni di calpestio. Romeo non
poteva lasciarla lì da sola, non poteva proprio. Impugnò saldamente il coltello
e lo puntò deciso al suo cuore. Non avrebbe fatto troppo male: era già
spezzato.
Ho finito di leggerlo ora, lo trovo molto ben scritto e impostato.
RispondiEliminaLe sensazioni e i timori di Giulietta sono scandagliati in maniera precisa e profonda, cosi' come, nella parte finale, tutte le speranze recondite di Romeo, recise di colpo dalla tragedia occorsa. Complimenti.
è bellissimo... non devo dire altro.
RispondiEliminaAnzi, solo un piccolo appunto.... perchè doveva chiamare la Polizia e non i Carabinieri? ;-)