San Francisco, ore 7:25. Era da poco spuntato il sole
e la mattinata si preannunciava grigia e fredda come ogni mattinata di
novembre. Il sig. Capulets, tutto infreddolito e con le coperte sbattute ai piedi
del letto, si era appena risvegliato nel suo loft. Il volto pallido e sciupato,
la fronte bagnata dal sudore. Non aveva chiuso occhio nemmeno quella notte a
causa dello stesso incubo che lo stava assalendo da mesi.
-
“Juliet?
Juliet, dove sei? JULIET?”
L’uomo si voltò a fissare la sig.ra Capulets
dall’altra parte del letto. Come suo solito la lasciò riposare in pace e dopo
averle baciato la fronte si alzò per prepararsi. L’azienda aveva pur sempre
bisogno del suo direttore. Andò quindi in bagno e cercò di ritornare in sé;
aprì il rubinetto e con l’acqua più fredda possibile si sciacquò il volto, più
e più volte. Poi si guardò allo specchio: vecchio, rugoso, con lo sguardo
spento e i capelli canuti. La tenue e grigia barbetta irregolare e malcurata rendeva
il suo viso chiaramente in preda alla disperazione. E lui era ormai disperato.
Come non esserlo? La sua bella e giovane Juliet non c’era più. La sua unica
figlia era scappata via da lui. Maledetto quel compleanno, pensava. E maledetto
quel Rowley. La sua Juliet non fu più la stessa da quando incontrò quel drogato
imbecille. Era al corrente della loro relazione e a lui non andava di certo
bene. Anzi, voleva assolutamente che finisse. Forse lo voleva fin troppo, viste
le conseguenze. Visto quel diavolo di litigio che la spinse via. Era stato
troppo duro con lei, le aveva detto delle atrocità e per poco non le avrebbe
alzato le mani addosso. Aveva maltrattato in ogni modo il suo angioletto solo
per colpa del ragazzo sbagliato. Chissà ora dov’era. Chissà che stava facendo.
Lui la stava trattando come una principessa? Si stava occupando di lei come
aveva sempre fatto il suo papà? Era da quattro mesi che se lo stava chiedendo e
nessuno gli aveva mai dato una misera risposta.
Uscì dal bagno e arrivò all’armadio. Tirò fuori il suo
scuro completo, una camicia e una cravatta a righe, e mise tutto sul letto. Si
spogliò e si rivestì lentamente, pensando ancora al mondo a cui sua figlia
aveva rinunciato, ai beni, al lusso e alle comodità che unite all’amore di suo
padre le avrebbero reso la vita perfetta. Eppure lei preferì quel Rowley:
all’apparenza educato e di bell’aspetto ma nonostante i suoi ventitré anni
compiuti ancora disoccupato e senza uno straccio di laurea. Certamente un’altra
sanguisuga che aveva trovato in sua figlia l’occasione di arricchirsi. Lui
l’aveva avvisata, durante quel litigio. Le aveva spiegato che la stava solo
raggirando per soldi, che un amore come il loro non avrebbe fruttato nulla di
buono e che di ragazzi per bene ne avrebbe potuti trovare se avesse atteso
altro tempo. Ma lei niente, rinnegava ogni cosa. E alla fine accadde. La sua
insolenza, la sua testardaggine avevano spinto il suo papà al peggio. L’aveva
cacciata via di casa in lacrime e le gridò rabbioso che per lui era morta.
Morta! Il sig. Capulets non riusciva a darsi una tregua di fronte a quella
vicenda. Dovunque Juliet si trovasse non l’avrebbe mai perdonato, ne era
convinto. Ma le voleva bene, e in un modo o nell’altro doveva dirglielo.
Prese infine i suoi mocassini neri e fu lì per
metterseli, quando suonarono alla porta. Il sig. Capulets non aveva
assolutamente idea di chi fosse a quell’ora del mattino. Aprì e non vide
nessuno. Dunque abbassò lo sguardo e trovò una lettera sul tappeto. Turbato, la
prese e chiuse la porta. Erano anni che non riceveva lettere. Scartò la busta e
cominciò a leggere:
West Army Avenue, 23;
Centrale di polizia di Henderson, Nevada
Gentile sig. Capulets,
mi sono concesso di scriverle con
urgenza per comunicarle che ieri sera una giovane comitiva ha intravisto dalla
boscaglia confinante le nostre strade i resti carbonizzati di un’automobile di
un’auto in fondo a un precipizio. Una Ford Sierra Cosworth bianca. All’interno
vi era un cadavere interamente sfigurato, ma la targa è pervenuta quasi
leggibile e tramite essa sono arrivato a lei: secondo le ricerche la macchina è
di sua proprietà. Il sottoscritto è già a conoscenza della scomparsa di sua
figlia Juliet, pertanto ritengo che il cadavere rinvenuto sia il suo.
Considerato inoltre che la distanza tra la strada e il luogo del ritrovamento è
considerevole, mi è lecito supporre che questo sia un caso di suicidio. Per
esserne certi chiederei a lei e a sua moglie di recarvi
in giornata in centrale per poter rispondere a qualche domanda e comprendere
meglio tale misteriosa faccenda.
Le più sincere condoglianze,
il commissario Portman
Terminata la lettera egli s’inginocchiò a terra
inorridito. Juliet si era spinta a tanto? Si era davvero uccisa? L’uomo
stentava a crederci. Sua figlia amava la sua vita. Eppure tutto confermava la
sua morte. Possibile che si sia tolta la vita per aver perso suo padre? Il sig.
Capulets era in preda allo sconforto. Si era messo le mani tra i capelli e se
li stava strappando con le lacrime agli occhi. Juliet non c’era più ed era
tutta colpa sua.
Ma poi ritornò in sé, si asciugò il viso e tese la
mano verso il corpo dormiente di sua moglie, pronto a darle la tragica notizia.
Era quasi arrivato il torrido mezzogiorno sulle strade
dell’argentea Nevada e il sole regnava incontrastato tra i folti alberi
silenziosi in un cielo azzurro e senza nuvole. La prima settimana di luglio era
già trascorsa e da circa un mese l’estate era cominciata. Sulla calda distesa
d’asfalto il nulla. Solo un piccione aveva osato poggiarvisi, beccando qua e là
a passi lenti.
Improvvisamente quel gran silenzio si ruppe e al suo
posto una forte voce di donna accompagnata da più e più strumenti e giochi
acustici inondò il paesaggio col suo ritmo invadente. Assieme ad essa un forte
rombo di motore. Dall’orizzonte era infatti sbucata una creatura metallica
dalla lurida coda fumosa che sfrecciava libera e incontrastata: una Ford bianca.
Alla guida stava una giovane ragazza coi capelli castani raccolti in una lunga
coda da un elastico fucsia. Stava masticando una gomma mentre divertita
canticchiava il nuovo singolo di Katy Perry “Last Friday Night” trasmesso alla
radio. Sul sedile accanto al suo stava disteso un manichino. Gli occhi verdi di
Juliet erano lucidi. Ovvio, dopo il pianto che avevano prodotto. Neanche un
paio d’ore fa era nel suo appartamento a San Francisco a discutere con quel
mostro di suo padre. Sapeva di lei e Rowley e voleva troncare all’istante la
loro relazione. Ma con quale presunzione, pensava lei. Come aveva potuto trovare
la faccia per ordinarle di sbarazzarsi dell’ennesimo ragazzo? Da ben diciotto
anni quell’uomo aveva fatto di tutto per osteggiare ogni sentimento di Juliet rivolto
a qualcuno che non fosse lui. Ogni volta era stato capace di farla soffrire e, senza
ritegno o alcun senso di colpa, l’aveva trattenuta prigioniera nel suo ricco e
spocchioso mondo. Era vero, pensava, che non le era mai mancato nulla di
comprabile nella vita, ma nessuno aveva mai pensato all’affetto che una bambina
ricerca nella sua infanzia? Una famiglia non dovrebbe basarsi sul volersi bene
anziché sui conti corrente e le quote azionarie? Quella solitudine che i suoi
non furono mai in grado di colmare smise di torturarla quando conobbe Rowley.
Durante quella noiosissima festa lui s’imbucò per scroccare da bere, ma quando
la vide le si presentò, la fece divertire come non mai e assieme decisero di
evadere da quel mortorio. Raggiunsero un vecchio campo di calcio e si distesero
sull’erba a puntare il dito contro le stelle. In quel momento i loro sguardi
s’incontrarono e si scambiarono un lungo bacio. Juliet sapeva che per
continuare a frequentarlo avrebbe dovuto liberarsi dalle grinfie malefiche di suo
padre; così aveva deciso di inscenare un litigio col pretesto di provocarlo e
spingerlo a scacciarla di casa in lacrime. Quanto era orgogliosa del suo ruolo
da indifesa donzella!
Ora non le restava altro che terminare la sua
missione; svoltò bruscamente a sinistra e si addentrò rapida nella boscaglia. Poi
aprì lo sportello e si buttò fuori dall’auto. Fece una capriola o due prima di
fermarsi a terra. Alla fine si alzò in piedi, scosse un paio di volte la testa
ed infine s’incamminò più avanti. Al di là del precipizio la Ford aveva
effettuato un vero salto acrobatico prima di sfracellarsi al suolo. Il motore
si diede subito alle fiamme e con uno scoppio queste cominciarono a cibarsi del
veicolo. Una colonna di fumi verso il blu. Chissà quando la polizia avrebbe
trovato la macchina, e chissà se scambieranno il manichino abbrustolito per il
cadavere di Juliet.
In ogni caso, la ragazza sfilò il cellulare dalla
tasca e fece il numero di Rowley. Il piano era stato portato a termine e adesso
una vita migliore attendeva Juliet. Come primo passo doveva attendere il suo
amato per poi viaggiare verso Las Vegas e sposarsi. Una magica notte di nozze
in albergo. Poi qualunque cosa. Infine
la felicità.