Per prima cosa stamattina dovrà mettere mano al macinato di
carne.
Elena si è svegliata presto, come accade ogni volta che la
giornata a venire si annuncia impegnativa,
e si è ripassata nella mente, come un compitino, i
preparativi da svolgere per il pranzo.
Poche e semplici portate, ma curate anche nella
presentazione. Il punto di forza sarà il polpettone, accompagnato da verdurine,
che le riesce in modo eccelso, come a nessun altro. Tutto merito della nonna.
Il polpettone sarà preceduto solo dalla zuppa di zucca, leggera
per poter apprezzare meglio la seconda portata.
Per l’occasione, sul tavolo farà bella mostra la tovaglia
ricamata a mano con gli intarsi, da cui risalterà il sottotovaglia blu, che si
abbina bene al bordo dello stesso colore delle stoviglie di porcellana bianca.
Ieri, al supermercato, ha comprato il necessario per il
pranzo di oggi, ma non il macinato di carne. Quello lo ha acquistato alla
macelleria. Glielo ripeteva sempre la nonna: “ Guai a fidarsi del macinato dei
supermercati, con tutti quei tasselli bianchi di grasso. Non sai mai cosa ci
hanno triturato. Dal macellaio scegli il pezzo della carne, ci fai aggiungere
della carne di maiale magra, che dà sapore, e controlli che sia tutto macinato due volte. Deve essere fino e
rosso.”
Meglio alzarsi subito, prima che il compagno si svegli. E
poi il polpettone deve restare qualche ora a raffreddare per ottenere delle fette compatte senza
sbreccature.
Sguscia dalla camera a piedi nudi, accosta la porta per
bloccare il passaggio al più tenue filo di luce. Con passo da gatto raggiunge
la cucina e appoggia la porta al battente senza produrre alcun rumore. Ora può
accendere la luce e le dita calcolano la pressione sull’interruttore per
evitarne il “tac”. Si lava le mani nel bozzetto del ripostiglio, da cui lo
scroscio dell’acqua giunge attutito e infila un paio di ciabatte di stoffa.
Tornata in cucina, alza il coprivivande e controlla la torta di mele sfornata
prima di coricarsi. Sul pigiama indossa il grembiule, si dà una fregatina alle
mani, fa un sospirone a pieni polmoni e si mette all’opera.
Versa in una terrina la carne macinata, rossa come le fiamme
dell’inferno. Sicuramente la signora Giuliana si aspetta risotto, carne
stracotta, polenta e pandoro. Spiacente, risposta sbagliata. Del resto non ne
ha mai indovinata una riguardo a lei e alla sua vita.
- Una veneta!- aveva detto a suo figlio, - Una tutta lavoro
e carriera. Separata e senza figli. Di sicuro non può averne, altrimenti a
quasi quarant’anni…-
- Trentasei, mamma.-
- E io che ho detto? Quasi quaranta.-
Elena vi scoccia un uovo, giallo come la gelosia, e amalgama
con il mestolo.
Spesso, per telefono, Giuliana raccomanda al figlio:-
Roberto, fai le analisi del sangue, controlla il fegato. Lassù mettono il vino
dappertutto. E non mangiare sempre polenta. Fatti una bistecca.-
Mai un pensiero per lei. Giuliana l’ha bandita dai propri
registri verbali.
Elena aggiunge il trito di prezzemolo e aglio scacciastreghe
e vi fa nevicare due manciate di Parmigiano grattugiato.
Ricorda il detto di sua nonna, risultato delle esperienze
estive in Versilia: “Le signore fiorentine si riconoscono dalle altre toscane,
dall’altezzosità.”
Con la grattugina spolvera un po’ di noce moscata, che
inviperisce il sapore, e completa con una presa di sale.
Quando Roberto si era trasferito da lei a Verona, sua madre
lo aveva avvertito:-Io, lassù in mezzo alla nebbia, non verrò mai.- Per due
anni ha tenuto fede alla promessa.
Qualche domenica sono scesi loro a Firenze, ma in quella
casa Elena si è sempre sentita un’entità senza forma né sostanza: avrebbe
potuto non esserci e il risultato della considerazione sarebbe stato lo stesso.
E ora il tocco finale: una mollica di pane, raffermo come il
rancore, che Elena inzuppa in una ciotola di latte. La mollica assetata lo
assorbe con ingordigia, ma Elena la stringe quanto basta per eliminare il
superfluo. Poi la sbriciola nell’impasto per disperderla bene. C’è ma non si
deve sentire. Ci penserà il vino bianco, aggiunto a metà cottura, a cancellarne
ogni indizio.
Mentre lava la ciotola e la ripone, Elena pensa di essere
stata molto paziente. Ha incassato le frasi taglienti, gli sguardi di sbieco,
l’indifferenza, grazie anche alla solidarietà di Roberto.
Raccoglie nelle mani l’impasto, rigirandolo fino a formare
un cilindro, lo rotola su una carta cosparsa di pangrattato e lo picchietta per
farne uscire l’aria intrappolata che ne comprometterebbe la consistenza.
Intanto pensa che se Giuliana fosse stata una bambina si sarebbe meritata delle
sonore sculacciate.
Adesso può aprire le serrande e rianimare l’appartamento. Dai
vetri irrompe la luce dell’esterno, bianca come il latte, che non smentirà
Giuliana: “Lassù non vedete mai il mondo, vi finisce a pochi metri.” Dipende
dai punti di vista. Sua nonna era solita asserire “Siamo preziosi come il cristallo,
quella è l’ovatta che ci protegge.”
A proposito di cristallo, Elena estrae dalla vetrina i
calici delle occasioni importanti.
Quando l’hanno informata dell’incidente di Roberto e della
mano che gli è stata ingessata, Giuliana ha recriminato contro l’Adige, il Po,
la Pianura Padana e tutta la nebbia maledetta. Inutile cercare di convincerla
che quel giorno splendeva il sole.
Elena infila nel frigo il Prosecco, che verseranno nei
calici per brindare. Al bambino, che arriverà fra sei mesi.
Che faccia farà Giuliana? Quali parole, dure come schegge,
riuscirà a scagliare pur di intaccare la sua gioia?
Elena rigira
delicatamente il polpettone che si rosola e diffonde il suo odore e pensa alla
nonna, quando diceva sorridendo: ”Se vuoi avvelenare qualcuno, basta fare un
polpettone così, poi dentro…”
Il veleno…non esageriamo…Elena non è un’assassina.
Le basta pensare che Giuliana trascorrerà la serata con uno
strano disturbo di pancia, necessiterà di correre alla toilette in qualche
autogrill. Darà la colpa alla nebbia, che compromette la digestione. Quella
nebbia bianca a cui Giuliana ha intolleranza. Come al latte.
Nessun commento:
Posta un commento