lunedì 30 luglio 2012

«Juliet 2000» di Davide Conidi, per il concorso "Indagine su Giulietta"


   San Francisco, ore 7:25. Era da poco spuntato il sole e la mattinata si preannunciava grigia e fredda come ogni mattinata di novembre. Il sig. Capulets, tutto infreddolito e con le coperte sbattute ai piedi del letto, si era appena risvegliato nel suo loft. Il volto pallido e sciupato, la fronte bagnata dal sudore. Non aveva chiuso occhio nemmeno quella notte a causa dello stesso incubo che lo stava assalendo da mesi.
-       “Juliet? Juliet, dove sei? JULIET?”
   L’uomo si voltò a fissare la sig.ra Capulets dall’altra parte del letto. Come suo solito la lasciò riposare in pace e dopo averle baciato la fronte si alzò per prepararsi. L’azienda aveva pur sempre bisogno del suo direttore. Andò quindi in bagno e cercò di ritornare in sé; aprì il rubinetto e con l’acqua più fredda possibile si sciacquò il volto, più e più volte. Poi si guardò allo specchio: vecchio, rugoso, con lo sguardo spento e i capelli canuti. La tenue e grigia barbetta irregolare e malcurata rendeva il suo viso chiaramente in preda alla disperazione. E lui era ormai disperato. Come non esserlo? La sua bella e giovane Juliet non c’era più. La sua unica figlia era scappata via da lui. Maledetto quel compleanno, pensava. E maledetto quel Rowley. La sua Juliet non fu più la stessa da quando incontrò quel drogato imbecille. Era al corrente della loro relazione e a lui non andava di certo bene. Anzi, voleva assolutamente che finisse. Forse lo voleva fin troppo, viste le conseguenze. Visto quel diavolo di litigio che la spinse via. Era stato troppo duro con lei, le aveva detto delle atrocità e per poco non le avrebbe alzato le mani addosso. Aveva maltrattato in ogni modo il suo angioletto solo per colpa del ragazzo sbagliato. Chissà ora dov’era. Chissà che stava facendo. Lui la stava trattando come una principessa? Si stava occupando di lei come aveva sempre fatto il suo papà? Era da quattro mesi che se lo stava chiedendo e nessuno gli aveva mai dato una misera risposta.
   Uscì dal bagno e arrivò all’armadio. Tirò fuori il suo scuro completo, una camicia e una cravatta a righe, e mise tutto sul letto. Si spogliò e si rivestì lentamente, pensando ancora al mondo a cui sua figlia aveva rinunciato, ai beni, al lusso e alle comodità che unite all’amore di suo padre le avrebbero reso la vita perfetta. Eppure lei preferì quel Rowley: all’apparenza educato e di bell’aspetto ma nonostante i suoi ventitré anni compiuti ancora disoccupato e senza uno straccio di laurea. Certamente un’altra sanguisuga che aveva trovato in sua figlia l’occasione di arricchirsi. Lui l’aveva avvisata, durante quel litigio. Le aveva spiegato che la stava solo raggirando per soldi, che un amore come il loro non avrebbe fruttato nulla di buono e che di ragazzi per bene ne avrebbe potuti trovare se avesse atteso altro tempo. Ma lei niente, rinnegava ogni cosa. E alla fine accadde. La sua insolenza, la sua testardaggine avevano spinto il suo papà al peggio. L’aveva cacciata via di casa in lacrime e le gridò rabbioso che per lui era morta. Morta! Il sig. Capulets non riusciva a darsi una tregua di fronte a quella vicenda. Dovunque Juliet si trovasse non l’avrebbe mai perdonato, ne era convinto. Ma le voleva bene, e in un modo o nell’altro doveva dirglielo.
   Prese infine i suoi mocassini neri e fu lì per metterseli, quando suonarono alla porta. Il sig. Capulets non aveva assolutamente idea di chi fosse a quell’ora del mattino. Aprì e non vide nessuno. Dunque abbassò lo sguardo e trovò una lettera sul tappeto. Turbato, la prese e chiuse la porta. Erano anni che non riceveva lettere. Scartò la busta e cominciò a leggere:

West Army Avenue, 23; Centrale di polizia di Henderson, Nevada

Gentile sig. Capulets,
mi sono concesso di scriverle con urgenza per comunicarle che ieri sera una giovane comitiva ha intravisto dalla boscaglia confinante le nostre strade i resti carbonizzati di un’automobile di un’auto in fondo a un precipizio. Una Ford Sierra Cosworth bianca. All’interno vi era un cadavere interamente sfigurato, ma la targa è pervenuta quasi leggibile e tramite essa sono arrivato a lei: secondo le ricerche la macchina è di sua proprietà. Il sottoscritto è già a conoscenza della scomparsa di sua figlia Juliet, pertanto ritengo che il cadavere rinvenuto sia il suo. Considerato inoltre che la distanza tra la strada e il luogo del ritrovamento è considerevole, mi è lecito supporre che questo sia un caso di suicidio. Per esserne certi chiederei a lei e a sua moglie di recarvi in giornata in centrale per poter rispondere a qualche domanda e comprendere meglio tale misteriosa faccenda.
Le più sincere condoglianze,
il commissario Portman

   Terminata la lettera egli s’inginocchiò a terra inorridito. Juliet si era spinta a tanto? Si era davvero uccisa? L’uomo stentava a crederci. Sua figlia amava la sua vita. Eppure tutto confermava la sua morte. Possibile che si sia tolta la vita per aver perso suo padre? Il sig. Capulets era in preda allo sconforto. Si era messo le mani tra i capelli e se li stava strappando con le lacrime agli occhi. Juliet non c’era più ed era tutta colpa sua.
   Ma poi ritornò in sé, si asciugò il viso e tese la mano verso il corpo dormiente di sua moglie, pronto a darle la tragica notizia.

   Era quasi arrivato il torrido mezzogiorno sulle strade dell’argentea Nevada e il sole regnava incontrastato tra i folti alberi silenziosi in un cielo azzurro e senza nuvole. La prima settimana di luglio era già trascorsa e da circa un mese l’estate era cominciata. Sulla calda distesa d’asfalto il nulla. Solo un piccione aveva osato poggiarvisi, beccando qua e là a passi lenti.
   Improvvisamente quel gran silenzio si ruppe e al suo posto una forte voce di donna accompagnata da più e più strumenti e giochi acustici inondò il paesaggio col suo ritmo invadente. Assieme ad essa un forte rombo di motore. Dall’orizzonte era infatti sbucata una creatura metallica dalla lurida coda fumosa che sfrecciava libera e incontrastata: una Ford bianca. Alla guida stava una giovane ragazza coi capelli castani raccolti in una lunga coda da un elastico fucsia. Stava masticando una gomma mentre divertita canticchiava il nuovo singolo di Katy Perry “Last Friday Night” trasmesso alla radio. Sul sedile accanto al suo stava disteso un manichino. Gli occhi verdi di Juliet erano lucidi. Ovvio, dopo il pianto che avevano prodotto. Neanche un paio d’ore fa era nel suo appartamento a San Francisco a discutere con quel mostro di suo padre. Sapeva di lei e Rowley e voleva troncare all’istante la loro relazione. Ma con quale presunzione, pensava lei. Come aveva potuto trovare la faccia per ordinarle di sbarazzarsi dell’ennesimo ragazzo? Da ben diciotto anni quell’uomo aveva fatto di tutto per osteggiare ogni sentimento di Juliet rivolto a qualcuno che non fosse lui. Ogni volta era stato capace di farla soffrire e, senza ritegno o alcun senso di colpa, l’aveva trattenuta prigioniera nel suo ricco e spocchioso mondo. Era vero, pensava, che non le era mai mancato nulla di comprabile nella vita, ma nessuno aveva mai pensato all’affetto che una bambina ricerca nella sua infanzia? Una famiglia non dovrebbe basarsi sul volersi bene anziché sui conti corrente e le quote azionarie? Quella solitudine che i suoi non furono mai in grado di colmare smise di torturarla quando conobbe Rowley. Durante quella noiosissima festa lui s’imbucò per scroccare da bere, ma quando la vide le si presentò, la fece divertire come non mai e assieme decisero di evadere da quel mortorio. Raggiunsero un vecchio campo di calcio e si distesero sull’erba a puntare il dito contro le stelle. In quel momento i loro sguardi s’incontrarono e si scambiarono un lungo bacio. Juliet sapeva che per continuare a frequentarlo avrebbe dovuto liberarsi dalle grinfie malefiche di suo padre; così aveva deciso di inscenare un litigio col pretesto di provocarlo e spingerlo a scacciarla di casa in lacrime. Quanto era orgogliosa del suo ruolo da indifesa donzella!
   Ora non le restava altro che terminare la sua missione; svoltò bruscamente a sinistra e si addentrò rapida nella boscaglia. Poi aprì lo sportello e si buttò fuori dall’auto. Fece una capriola o due prima di fermarsi a terra. Alla fine si alzò in piedi, scosse un paio di volte la testa ed infine s’incamminò più avanti. Al di là del precipizio la Ford aveva effettuato un vero salto acrobatico prima di sfracellarsi al suolo. Il motore si diede subito alle fiamme e con uno scoppio queste cominciarono a cibarsi del veicolo. Una colonna di fumi verso il blu. Chissà quando la polizia avrebbe trovato la macchina, e chissà se scambieranno il manichino abbrustolito per il cadavere di Juliet.
   In ogni caso, la ragazza sfilò il cellulare dalla tasca e fece il numero di Rowley. Il piano era stato portato a termine e adesso una vita migliore attendeva Juliet. Come primo passo doveva attendere il suo amato per poi viaggiare verso Las Vegas e sposarsi. Una magica notte di nozze in albergo. Poi qualunque cosa. Infine  la felicità.

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