venerdì 3 agosto 2012

«Giulietta licenziò Shakespeare!» di Andra Livia Ristea per il concorso "Indagine su Giulietta"


Giulietta, “la ragazza che si versò il veleno nella pancia” un bel giorno si trovò un lavoro ed in quell'attimo  era riuscita ad andare oltre il suo balcone. Romeo non c'era più perché non doveva più esserci, oggi c'è solo Giulietta che lavora, e soprattutto lei che licenzia Shakespeare, perché questa Giulietta vuole uscire dal fallologocentrismo, dal manico del Padre, dal contratto sociale, da tutti quei “concetti che l’hanno tenuta dentro un certo ordine, una cera configurazione. Non vuole restare in un balcone, (mica deve stendere i panni della famiglia), non fa la casalinga o la lavandaia. Giulietta vuole essere la marinaia con i propri jeans con i coralli, con i coltelli, con le briciole. Lei comprende cosa significa indossare una gonna, un abito, che cos'è una gonna: quella che non può andare in erezione, quella che deve rimanere abbassata, perché chi l'alza è una prostituta, la gonna è il simbolo per Giulietta della mancata trascendenza, del mancato innalzamento. Al massimo il vento può alzarla, e solo per sbaglio. La gonna nel mondo dei Padri tende sempre in basso. Le gonne per Giulietta sono come le code scoppiate delle sirene, che pendono come carne viva intorno ai suoi fianchi, volteggiando intorno alle sue gambe.
E’ mattino presto, e la donna-Giulietta si prepara per andare incontro al suo primo lavoro, il quale consiste nell'inseminare artificialmente le teste delle donne con intelligenza. Ha preso i mezzi pubblici oggi, timbra il biglietto e sale. Ha scelto un abito particolare per il suo primo giorno. Lo ha creato nel suo monolocale pagato con i consigli dei suoi ricchi parenti, consigli che in quel mondo sono soldi veri. Proprio così, i consigli dei ricchi sono contanti in carne ed ossa, cioè di carta pesta e carta velina. Indossa il Verbo, perché lei vuole nella sua vita tutte le coniug-azioni possibili. Il suo e un corpo nuovo,  un corpo che veramente s'incarna tramite i suoi atti e cessa di essere una “machine cartesiana” che ha bisogno di vaselina per l'unzione del suo esprit. Giulietta entra nella ditta che l'accoglierà per i prossimi primi mesi che si chiama: “Inseminiamo l'intelligenza e il coraggio prima che arrivi Kant a farlo!”
Incontra la sua prima cliente che le piomba addosso con le guance. Lei si spaventa e si allontana. Era molto che non cadeva sotto il peso di un essere. Si riprende e capisce, sì capisce. Accoglie quelle guance e le bacia come bacerebbe un gesto ancora palpitante, lei ancora più scossa. La cliente richiede immediatamente l'inseminazione senza perdere tempo e senza alcuna una preparazione. Il corpo di questa donna ha qualcosa. Giulietta lo nota. E' incinta. E vuole essere inseminata per trasmettere l'intelligenza e il coraggio al figlio. Ma non funzionano così le cose. Si può ricevere l'intelligenza tramite l'inseminazione solo se la donna non è incinta. I figli a loro volta vengono dopo. Dopo tante cose. Dopo tantissime cose. Ma questo arriverà più avanti o forse non arriverà mai. L'inseminazione dell'intelligenza si può compiere solo nella testa delle donne che non hanno mai tenuto in grembo una vita. Le donne devono scegliere nel mondo dei Padri e nel mondo delle Madri, fra la vita e l'intelligenza. La cliente si stupisce della spiegazione di Giulietta e risponde a sua volta con un tono di rame che lascerà un suono amaro: “Noi donne...ma quali vittime...non ci penso nemmeno ad usare Povere Donne. Scegliere fra l'essere la fonte della vita e la fonte dell'intelligenza...Cosa scegliere. Equazioni in aule accademiche o allattare fin quando il capezzolo si affievolisce grazie alla bocca morbida del lattante. Addio! Credo di essere nel posto sbagliato.”
Giulietta non capisce. Perché non ha voluto? Perché se n'è andata...Perché ha scelto...
Mentre Giulietta pensa al breve accaduto, entra la seconda cliente, diversa dalla prima. Ha l'aria di sfida, è dalla parte dei Padri da quando ha subito la prima violenza carnale, ama il suo carnefice e ha abbandonato l'università per godersi gli schiaffi, sì sembra tutto banale, sembra la storia già sentita, li prende un po' come il caffè forte che uccide uno stomaco malato di gastrite. Non gliene importa nulla del corpo, dell'intelligenza, della gonna, del cambiamento e tutto questo lo riferisce a Giulietta senza timore. Giulietta stacca l’erba di un Verbo dal seno, gliela porge, l'altra la prende e lo legge:  …silenzio! E’ questo. Si volta e se ne va e solo lei sa adesso cosa farà.
Giulietta dopo la seconda visita, intravede da lontano, il viso di...di…un uomo! Lui si avvicina a Lei. E' proprio l'uomo che aveva licenziato, Shakespeare! La stava cercando da giorni, nei libri e oltre ed oltre nei libri stessi. E' venuto da lei con uno scopo preciso, e non è affatto quello di convincerla a ritornare. Il Signor Shakespeare desidera capire perché lei si è ribellata di fronte a chi le aveva già donato la libertà creandola. Vuole comprendere perché Giulietta ha scelto il lavoro, perché indossa l'abito fatto di verbi, perché vive in un monolocale da sola, perché prende i mezzi pubblici e non accetta una dama di compania, e perché ha lasciato il balcone.
Lei esita, ma esita per la prima volta nel senso saggio della parola e risponde forte: “Caro Sig. Shakespeare, mi farebbe piacere innanzitutto inseminare tutti le donne che ha creato scrivendo. Scapperebbero tutte senza voltarsi. Io non mi sono affatto ribellata, ha compreso male la mia scelta. Sono alla mia scrivania adesso, e sono io che scrivo lei, sono io che ho inseminato nella sua mente il fatto che io me ne sia andata. Sig. Shakespeare lei parla attraverso le mie dita nel mio foglio. Allora Shakespeare, TRGICO PER LA PRIMA VOLTA NELLA SUA VITA, comincia a correre per arrivare in basso alla pagina e voltarla, Giulietta lo prende per i pantaloni e lo ferma con la gomma, li cancella l'impeto, non le gambe, ma l'impeto. Giulietta volta la pagina per vedere il suo profilo attraverso il foglio, e alzandolo si vede tutto meglio adesso, e la bocca della ragazza che adesso ha un lavoro e ha licenziato Shakespeare si avvicina alla pagina e gli sussurra attraverso l'opacità: “Sono la specie rara che rende la specie ancora più rara”. Si vedono le dita che si allungano verso l'angolo della pagina per voltarla e si vede Giulietta sussurrare attraverso il foglio. Giulietta è una donna che lavora.
Giulietta dopo quell'accaduto è una donna diversa. Ha avuto il coraggio di licenziare Shakespeare e trovarsi un lavoro. E' più semplice di una metafora. Cosa fa adesso dopo tanti anni? Giulietta abita a Verona, e la statua che si trova là, è in realtà un omaggio da parte di tutte le donne che non vogliono essere solo delle statue alla mercé dei piccioni veneti. Chi è Giulietta oggi se non le fibre dei capelli tagliati dalle mani di mille donne, ognuna delle quali ha preso filo per filo i suoi capelli, il ruggito della forbice ha vissuto mille volte nella sua capigliatura. Giulietta è come le nuvole basse che sembrano più alte di quelle dell'alta quota appena si lascia l'Italia. Giulietta è una donna che scrive la notte a Milano, seduta sopra la sua valigia ad aspettare il treno che la porterà a casa. Giulietta è la donna che guida il tram a Nantes. Giulietta è il nome che si fa donna. Ma cos'ha lasciato il tempo alle donne che da Giulietta in poi le ha condotte ad auto-inseminarsi d'intelligenza. Chi sa per quale ragione, sconvolge sempre l'ordine delle cose quando la donna diventa non solo pubblica, ma soprattutto il suo esserlo senza cessare di essere l'essere privato, l'essere assente, l'essere mancato, l'essere nascosto. La donna dentro casa, immersa nei suoi oggetti più cari e più chiari, animati dal suo passo, e farsi strada dalla cucina al salotto, a guardare fuori scostando la tenda prima dell'arrivo di coloro che vivono fuori. Ma lei no, tanto tempo fa lei no. Lei era l'essere che viveva grazie a tratti brevi d'aria, contando il tempo, perché lei è l'orologiaio ed è lei che lo mette apposto. Guardare passare il tempo, perché non si è indaffarati. Si è già morti quando lo si fa. E dove passa il tempo se non nell' al di là. Un secondo se n'è andato. Dove? Nel passato? No. Se n'è andato là dove lo sguardo non può arrivare. Vivere scrivendo il tempo che passa.
L'orologio è l'utero che conta il primo attimo di una nuova vita. Le sue lancette partono naturalmente dall’ombelico e si allungano lungo la pancia che cresce.  Le donne donano la semplicità del tempo al nuovo essere. Danno forma al tempo, partorendo il corpo nuovo. La temporalità dell'essere femminile consiste nella grande saggezza orologiaia. Una nuova vita arriva, un nuovo tempo la lega per sempre a se stessa.
Giulietta è la donna delle donne, la donna fra le donne, la donna nelle donne, la donna dopo le donne. E' cambiata non solo la sua condizione ma soprattutto la sua posizione. Il topos e non solo la sua conditio. Una specie di evoluzione copernicana che la la fa centrare rispetto a qualcos'altro. La condizione della donna è soggetta la maggior parte delle volte a una sorta di reputazione di malata (la condizione del paziente). Parlare di condizione della donna ci porta a pensarla perennemente all'interno di un processo di guarigione. Reputo sia più onesto discutere intorno al concetto di Posizione della Donna. La donna essendo soprattutto temporalità (guai ad Heidegger se si azzarda ad uscire dalla tomba!) nel senso di concedere grazie alla nascita un posto ad un nuovo soffio, posizionando la creatura, le dà uno spazio e al tempo stesso lei stessa si dà uno spazio. La posizione della donna è la posizione che lei sceglie di occupare sulla terra innanzitutto. Ma la sua posizione deve trovarsi sulla stessa terra all'interno della quale si trova quella dell'uomo (ma nel caso dell'uomo sarebbe opportuno parlare di sostituzione maschile). La donna cambia di posizione mentre l'uomo si sostituisce. La donna cambia posizione quando l'uomo cessa di sostituirsi a se stesso. E per sostituzione intendo l'incessante diventare  Padre di colui che a sua volta sarà Padre. La donna-madre invece cambia posizione ogni qual volta dà il tempo nuovo ad una vita nuova. La madre non sarà madre di colei che sarà madre, ma resterà per sempre un Tempo Inedito pronto ad essere sempre in una posizione diversa rispetto alla vita che lei ha concepito. Non a caso la società dei Padri è la società della costante sostituzione, e la sostituzione non implica creazione ma istituzione di qualcosa che c'è già. Le istituzioni dei Padri. La prova della loro sos-tituzione. La donna-madre si posiziona, si sprigiona, senza ripetersi, senza sottrarsi. Giulietta si sprigiona perché non si può raccontare.
Giulietta da bambina, Giulietta sola, caparbiamente Giulietta che licenziò Shakespeare...


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