Giulietta, “la
ragazza che si versò il veleno nella pancia” un bel giorno si trovò un lavoro
ed in quell'attimo era riuscita ad
andare oltre il suo balcone. Romeo non c'era più perché non doveva più esserci,
oggi c'è solo Giulietta che lavora, e soprattutto lei che licenzia Shakespeare,
perché questa Giulietta vuole uscire dal fallologocentrismo, dal manico
del Padre, dal contratto sociale, da tutti quei “concetti che l’hanno tenuta dentro un certo ordine, una
cera configurazione. Non vuole restare in un balcone, (mica deve
stendere i panni della famiglia), non fa la casalinga o la lavandaia. Giulietta
vuole essere la marinaia con i propri jeans con i coralli, con i coltelli, con
le briciole. Lei comprende cosa significa indossare una gonna, un abito, che
cos'è una gonna: quella che non può andare in erezione, quella che deve
rimanere abbassata, perché chi l'alza è una prostituta, la gonna è il simbolo
per Giulietta della mancata trascendenza, del mancato innalzamento. Al massimo
il vento può alzarla, e solo per sbaglio. La gonna nel mondo dei Padri tende
sempre in basso. Le gonne per Giulietta sono come le code scoppiate delle
sirene, che pendono come carne viva intorno ai suoi fianchi, volteggiando
intorno alle sue gambe.
E’ mattino
presto, e la donna-Giulietta si prepara per andare incontro al suo primo
lavoro, il quale consiste nell'inseminare artificialmente le teste delle donne
con intelligenza. Ha preso i mezzi pubblici oggi, timbra il biglietto e sale.
Ha scelto un abito particolare per il suo primo giorno. Lo ha creato nel suo
monolocale pagato con i consigli dei suoi ricchi parenti, consigli che in quel
mondo sono soldi veri. Proprio così, i consigli dei ricchi sono contanti in
carne ed ossa, cioè di carta pesta e carta velina. Indossa il Verbo, perché lei
vuole nella sua vita tutte le coniug-azioni possibili. Il suo e un corpo nuovo,
un corpo che veramente s'incarna
tramite i suoi atti e cessa di essere una “machine cartesiana” che ha bisogno
di vaselina per l'unzione del suo esprit. Giulietta entra nella ditta che
l'accoglierà per i prossimi primi mesi che si chiama: “Inseminiamo
l'intelligenza e il coraggio prima che arrivi Kant a farlo!”
Incontra la
sua prima cliente che le piomba addosso con le guance. Lei si spaventa e si
allontana. Era molto che non cadeva sotto il peso di un essere. Si riprende e
capisce, sì capisce. Accoglie quelle guance e le bacia come bacerebbe un gesto
ancora palpitante, lei ancora più scossa. La cliente richiede immediatamente
l'inseminazione senza perdere tempo e senza alcuna una preparazione. Il corpo
di questa donna ha qualcosa. Giulietta lo nota. E' incinta. E vuole essere
inseminata per trasmettere l'intelligenza e il coraggio al figlio. Ma non
funzionano così le cose. Si può ricevere l'intelligenza tramite l'inseminazione
solo se la donna non è incinta. I figli a loro volta vengono dopo. Dopo tante
cose. Dopo tantissime cose. Ma questo arriverà più avanti o forse non arriverà
mai. L'inseminazione dell'intelligenza si può compiere solo nella testa delle
donne che non hanno mai tenuto in grembo una vita. Le donne devono scegliere
nel mondo dei Padri e nel mondo delle Madri, fra la vita e l'intelligenza. La
cliente si stupisce della spiegazione di Giulietta e risponde a sua volta con
un tono di rame che lascerà un suono amaro: “Noi donne...ma quali vittime...non
ci penso nemmeno ad usare Povere Donne. Scegliere fra l'essere la fonte della
vita e la fonte dell'intelligenza...Cosa scegliere. Equazioni in aule
accademiche o allattare fin quando il capezzolo si affievolisce grazie alla
bocca morbida del lattante. Addio! Credo di essere nel posto sbagliato.”
Giulietta non
capisce. Perché non ha voluto? Perché se n'è andata...Perché ha scelto...
Mentre
Giulietta pensa al breve accaduto, entra la seconda cliente, diversa dalla
prima. Ha l'aria di sfida, è dalla parte dei Padri da quando ha subito la prima
violenza carnale, ama il suo carnefice e ha abbandonato l'università per
godersi gli schiaffi, sì sembra tutto banale, sembra la storia già sentita, li
prende un po' come il caffè forte che uccide uno stomaco malato di gastrite.
Non gliene importa nulla del corpo, dell'intelligenza, della gonna, del
cambiamento e tutto questo lo riferisce a Giulietta senza timore. Giulietta
stacca l’erba di un Verbo dal seno, gliela porge, l'altra la prende e lo
legge: …silenzio! E’ questo. Si
volta e se ne va e solo lei sa adesso cosa farà.
Giulietta dopo
la seconda visita, intravede da lontano, il viso di...di…un uomo! Lui si
avvicina a Lei. E' proprio l'uomo che aveva licenziato, Shakespeare! La stava cercando
da giorni, nei libri e oltre ed oltre nei libri stessi. E' venuto da lei con
uno scopo preciso, e non è affatto quello di convincerla a ritornare. Il Signor
Shakespeare desidera capire perché lei si è ribellata di fronte a chi le aveva
già donato la libertà creandola. Vuole comprendere perché Giulietta ha scelto
il lavoro, perché indossa l'abito fatto di verbi, perché vive in un monolocale
da sola, perché prende i mezzi pubblici e non accetta una dama di compania, e
perché ha lasciato il balcone.
Lei esita, ma
esita per la prima volta nel senso saggio della parola e risponde forte: “Caro
Sig. Shakespeare, mi farebbe piacere innanzitutto inseminare tutti le donne che
ha creato scrivendo. Scapperebbero tutte senza voltarsi. Io non mi sono affatto
ribellata, ha compreso male la mia scelta. Sono alla mia scrivania adesso, e
sono io che scrivo lei, sono io che ho inseminato nella sua mente il fatto che
io me ne sia andata. Sig. Shakespeare lei parla attraverso le mie dita nel mio
foglio. Allora Shakespeare, TRGICO PER LA PRIMA VOLTA NELLA SUA VITA, comincia
a correre per arrivare in basso alla pagina e voltarla, Giulietta lo prende per
i pantaloni e lo ferma con la gomma, li cancella l'impeto, non le gambe, ma
l'impeto. Giulietta volta la pagina per vedere il suo profilo attraverso il
foglio, e alzandolo si vede tutto meglio adesso, e la bocca della ragazza che
adesso ha un lavoro e ha licenziato Shakespeare si avvicina alla pagina e gli
sussurra attraverso l'opacità: “Sono la specie rara che rende la specie ancora
più rara”. Si vedono le dita che si allungano verso l'angolo della pagina per
voltarla e si vede Giulietta sussurrare attraverso il foglio. Giulietta è una
donna che lavora.
Giulietta dopo
quell'accaduto è una donna diversa. Ha avuto il coraggio di licenziare
Shakespeare e trovarsi un lavoro. E' più semplice di una metafora. Cosa fa
adesso dopo tanti anni? Giulietta abita a Verona, e la statua che si trova là,
è in realtà un omaggio da parte di tutte le donne che non vogliono essere solo
delle statue alla mercé dei piccioni veneti. Chi è Giulietta oggi se non le
fibre dei capelli tagliati dalle mani di mille donne, ognuna delle quali ha
preso filo per filo i suoi capelli, il ruggito della forbice ha vissuto mille
volte nella sua capigliatura. Giulietta è come le nuvole basse che sembrano più
alte di quelle dell'alta quota appena si lascia l'Italia. Giulietta è una donna
che scrive la notte a Milano, seduta sopra la sua valigia ad aspettare il treno
che la porterà a casa. Giulietta è la donna che guida il tram a Nantes.
Giulietta è il nome che si fa donna. Ma cos'ha lasciato il tempo alle donne che
da Giulietta in poi le ha condotte ad auto-inseminarsi d'intelligenza. Chi sa
per quale ragione, sconvolge sempre l'ordine delle cose quando la donna diventa
non solo pubblica, ma soprattutto il suo esserlo senza cessare di essere
l'essere privato, l'essere assente, l'essere mancato, l'essere nascosto. La
donna dentro casa, immersa nei suoi oggetti più cari e più chiari, animati dal
suo passo, e farsi strada dalla cucina al salotto, a guardare fuori scostando
la tenda prima dell'arrivo di coloro che vivono fuori. Ma lei no, tanto tempo
fa lei no. Lei era l'essere che viveva grazie a tratti brevi d'aria, contando
il tempo, perché lei è l'orologiaio ed è lei che lo mette apposto. Guardare
passare il tempo, perché non si è indaffarati. Si è già morti quando lo si fa.
E dove passa il tempo se non nell' al di là. Un secondo se n'è andato. Dove?
Nel passato? No. Se n'è andato là dove lo sguardo non può arrivare. Vivere
scrivendo il tempo che passa.
L'orologio è
l'utero che conta il primo attimo di una nuova vita. Le sue lancette partono
naturalmente dall’ombelico e si allungano lungo la pancia che cresce. Le donne donano la semplicità del tempo
al nuovo essere. Danno forma al tempo, partorendo il corpo nuovo. La
temporalità dell'essere femminile consiste nella grande saggezza orologiaia.
Una nuova vita arriva, un nuovo tempo la lega per sempre a se stessa.
Giulietta è la
donna delle donne, la donna fra le donne, la donna nelle donne, la donna dopo
le donne. E' cambiata non solo la sua condizione ma soprattutto la sua posizione.
Il topos e non solo la sua conditio. Una specie di evoluzione copernicana che
la la fa centrare rispetto a qualcos'altro. La condizione della donna è
soggetta la maggior parte delle volte a una sorta di reputazione di malata (la
condizione del paziente). Parlare di condizione della donna ci porta a pensarla
perennemente all'interno di un processo di guarigione. Reputo sia più onesto
discutere intorno al concetto di Posizione della Donna. La donna essendo
soprattutto temporalità (guai ad Heidegger se si azzarda ad uscire dalla
tomba!) nel senso di concedere grazie alla nascita un posto ad un nuovo soffio,
posizionando la creatura, le dà uno spazio e al tempo stesso lei stessa si dà
uno spazio. La posizione della donna è la posizione che lei sceglie di occupare
sulla terra innanzitutto. Ma la sua posizione deve trovarsi sulla stessa terra
all'interno della quale si trova quella dell'uomo (ma nel caso dell'uomo
sarebbe opportuno parlare di sostituzione maschile). La donna cambia di
posizione mentre l'uomo si sostituisce. La donna cambia posizione quando l'uomo
cessa di sostituirsi a se stesso. E per sostituzione intendo l'incessante
diventare Padre di colui che a sua
volta sarà Padre. La donna-madre invece cambia posizione ogni qual volta dà il
tempo nuovo ad una vita nuova. La madre non sarà madre di colei che sarà madre,
ma resterà per sempre un Tempo Inedito pronto ad essere sempre in una posizione
diversa rispetto alla vita che lei ha concepito. Non a caso la società dei
Padri è la società della costante sostituzione, e la sostituzione non implica
creazione ma istituzione di qualcosa che c'è già. Le istituzioni dei Padri. La
prova della loro sos-tituzione. La donna-madre si posiziona, si sprigiona,
senza ripetersi, senza sottrarsi. Giulietta si sprigiona perché non si può
raccontare.
Giulietta da
bambina, Giulietta sola, caparbiamente Giulietta che licenziò Shakespeare...
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