La gita
I ragazzi caricano le valigie sul
pullman.
La gita finisce qui.
Dopo un paio
di notti insonni a vegliare nei corridoi dell’albergo, per evitare che la
sfrenata fantasia degli adolescenti sfociasse nell’illegalità, mi sento distrutta.
L’idea della visita didattica a
Venezia è stata del professor Costantin, che conosce la sua città d’origine fin
nelle viscere e placa quella forma d’amore struggente, che è la nostalgia di
casa, mettendo a punto ogni volta un itinerario diverso.
Mentre gli alunni si divertono, i
colleghi intimano: mai più.
Ora, con il microfono in mano, fa
l’appello.
Li chiama per nome.
Presente. Rassicurano.
“Saima?” chiede.
Nessuna risposta.
“Saima?”
“Non c’è, prof , Saima non c’è”
risponde qualcuno.
“Come sarebbe a dire: non c’è?”
“Non è sul pullman, prof.”
“Non scherziamo!” taglia corto
lui e poi mi si avvicina.
“Non faccio magie” lo anticipo,
inquieta.
“Questo lo so” rimbalza lui. “Ma
la conosci meglio di me.”
Certo
che la conosco: è la mia alunna migliore. Di origine orientale, quando inizia a
frequentare il nostro istituto deve ancora imparare la nuova lingua, ma è
sempre allegra, studia con entusiasmo e tanta determinazione. Una rarità!
All’improvviso, compiuti i sedici
anni e superato il termine dell’obbligo scolastico, è costretta dalla famiglia
a lasciare la scuola, contro il suo volere.
Ma attende e, diventata
maggiorenne, torna per ottenere il diploma di maturità.
Quando la rivedo, due anni dopo,
ha gli occhi pieni di luce, pupille nere, brillanti, avide di conoscenza e
ambiziose, di nuovo seduta dietro un banco.
“Costantin, manteniamo la calma,
ho il suo numero di cellulare, posso chiamarla” suggerisco in modo perentorio.
“Va bene, come vuoi” acconsente.
“Ai suoi compagni non risponde.”
A me, sì.
“Dove sei, Saima?”
“Sotto il campanile, prof, a San
Marco.”
“Che fai ancora lì? Cosa
succede?”
“Avevo delle briciole per i
piccioni.”
“Mi aspetti?”
“Sì.”
E’ in mezzo alla piazza, avvolta
nell’elegante abito turchese che la copre fino alle caviglie, magra, con il
velo lasciato cadere sulle spalle e i capelli neri che luccicano e prendono il
volo nell’aria inquieta. Non glieli avevo mai visti. Sembra un gigantesco
volatile esotico, intento a nutrire i piccoli.
Quando la chiamo si volta e
asciuga gli occhi.
“Chiedo scusa, prof, mi
dispiace.”
“Anche a me. Vuoi dirmi
qualcosa?”
“Ora no. Quando torniamo.”
A farla soffrire è qualcosa di
grave. Non può essere una bambinata.
Cose che capitano
A casa è di nuovo routine.
La sera mi rannicchio sul divano sotto una coperta leggera
dell’Ikea.
Mio marito, messi a nanna Samuel
e Rachele, si rifugia in studio.
“Rispondo
alle mail” mi convince, con quella lingua imperfetta, rubata un po’ all’inglese
e un po’ all’informatica.
Io invece sono al telefono con
Sara, mia sorella.
Parliamo di nostra nipote, una,
tra le tante giovani donne, che si affacciano al balcone della vita amorosa,
traboccanti di sogni e inesperienza, ignare del pegno, talvolta alto e
ingiusto, che devono pagare per poter vivere in libertà i propri sentimenti.
Figlia di Gianmario, il fratello
maggiore, abbiamo visto crescere Laura, mentre ancora, poco convinte, Sara ed
io indugiavamo sulla scelta della nostra maternità.
Adesso è iscritta a medicina.
Secondo anno.
Bella, con il viso ovale, gli
occhi marroni e i capelli biondi, ha la pelle chiara e liscia dei bambini.
Da quando ha iniziato le sue
prime storie d’amore, di cui parla anche alle zie con una sorprendente
profusione di particolari, le suddette passioni hanno movimentato le
nostre chiacchierate telefoniche.
“Sara, hai in mente l’idiota che
si è divertito con Laura, mentre negli stessi mesi usciva con un’altra ragazza,
all’insaputa di entrambe?” chiedo, rivangando il passato.
“Si, il divino Matteo, l’attaccante della squadra di calcio del quartiere”
conferma mia sorella.
“Esatto! Il furbo è tornato a
corteggiarla, dato che l’altra l’ha scaricato. Ma il fatto grave è che lei ne
sembra lusingata e intenzionata a vederlo quando lo desidera.”
“Dopo tutto quello che le ha
fatto passare, tra false promesse e tradimenti?”
“Dopo tutta quella roba lì.”
“E il recente fidanzato,
presentato a tutta la famiglia?
Che ne sarà di lui?”
“Già, è una situazione a dir poco
complicata. Ma tu, queste novità, da chi le hai sapute?”
“Da sua madre. Li ha visti
gironzolare mano nella mano, proprio sotto casa. Al rientro ha trascinato Laura di fronte al caos
originario della sua stanza, dove i confini tra l’armadio, il letto e la
scrivania sono impercettibili, a causa della quantità di oggetti sparsi che
ricoprono tutto: libri aperti sul letto, calze penzolanti dalla cassa dello
stereo, intimo da lavare dietro le tende, la collezione di smalti per unghie
disseminata ovunque, collane e braccialetti sulla scrivania. Lì, di fronte a
quello scenario post uragano, dopo averle intimato di riordinare subito, pena
il sequestro del telefonino, ha ingiunto il diktat: divieto assoluto di vedere
il giovane ex innamorato.”
“E la piccina come l’ha presa?”
“Piange.”
“Per una volta, però, approvo il
rigore materno.”
“E’ un rigore labile.”
“E perché?”
“Perché non può tenerla chiusa in
casa. Va a scuola, usa un telefonino, ha la sua vetrina su facebook e ci sono mille possibilità di incontro
con il doloroso amante.”
“Più appetibile, perché inviso ai
genitori.”
“Appunto!”
“Una moderna Giulietta?”
“Meno tragica. Se decide di
uscire con il ragazzo che, nonostante tutto, le fa girare la testa, alla fine
la spunterà, senza troppo affanno.”
Ed è su questa profezia che ci
sorprende, prima di salutarci, qualche attimo di silenzio.
Sappiamo senza dirlo che il
passato è riemerso all’improvviso, come un relitto portato a galla dalle onde.
Anni novanta
Quando mia sorella Sara conosce
Daniele, ha 23 anni. Sta per diventare biologa a pieni voti e ha una passione
sportiva: la pallavolo. Gioca in una squadra importante della provincia di
Milano, ma l’università e lo sport non le bastano: disciplinata com’è, si
impegna anche nel volontariato con i clochard
meneghini.
E’ l’orgoglio dei nostri genitori
anche se, per falsa modestia, non lo danno a vedere.
C’è un solo neo: quel Daniele.
“Potrebbe almeno diplomarsi!”
punge la mamma.
“Sì, è vero, forse lo farà”
appiana Sara.
“A sentir lui è l’ultimo dei
pensieri! Non vorrà fare tutta la vita il gestore estivo di rifugi in alta
montagna?” incalza la mamma.
“Per oggi hai superato il
limite!”inveisce Sara e se ne va, sbattendo la porta.
A quel tempo scambi di questo
genere sono all’ordine del giorno.
Non è solo il mancato pezzo di
carta che i genitori non digeriscono. E’ un po’ tutto di quel Daniele che
proprio non va! E’ l’ostentazione di ricchezza che invece non c’è, o se c’è
stata non ne è rimasto quasi nulla. E’ l’aprire il frigorifero come fosse a
casa sua. E’ quel fumare incessante senza mai chiedere il permesso. E’ il non
avere progetti seri per il futuro e, ancor di più, è la sua faccia d’angelo che confonde; così bella, che Sara
non vede altro.
Ma la sfida aperta con i
genitori, per il suo Romeo, la gioca fino in fondo.
Trova un lavoro gratificante
pochi mesi prima di laurearsi e va a vivere con Daniele.
I nostri genitori, lividi di
rabbia, non partecipano alla discussione della sua tesi di laurea, ottenuta con l’annunciata lode.
Lei, che ha annaffiato la sua
ambiziosa carriera negli studi, con la stima, il sostegno e l’orgoglio dei due
assenti, incassa il colpo, invitando tutti per la festa, nella nuova
dimora.
Mamma e papà, per sopportare
meglio l’offesa, sono lontani.
Niente di grave.
Solo pochi anni e il nido sarà
vuoto.
Sara e Daniele non si amano più.
Dopo la gita
Saima
non mi dice niente e per qualche settimana l’episodio accaduto in gita cade
nell’oblio, almeno in superficie.
Ma
le assenze frequenti, in prossimità degli esami, così insolite per lei,
lasciano presagire nuove difficoltà a casa.
Eppure
i buoni voti a scuola, la sinuosa disinvoltura dei suoi movimenti, l’eloquio
sicuro, quelle dita che durante l’intervallo diventano gocce di una pioggia
battente sulla tastiera del telefonino, non sono indizi negativi.
Un
giorno prende coraggio e all’uscita dalle lezioni mi si avvicina, per svelare
il curioso mistero che la avvolge da alcune settimane.
“Mi
sono innamorata, prof.”
“Questa
è una buona notizia.”
“Quella
brutta è che la mia famiglia mi sta organizzando il matrimonio con un estraneo,
un uomo del nostro paese, contro tutta la mia volontà.”
“Santo
cielo, come possono farlo?”
“Di
questo mi sono noti persino i dettagli. Conosco donne che hanno sopportato tale
violenza tutta la vita. Io, però, negli ultimi tempi mi sono occupata di come
impedire loro di farmi così male, affidandomi a una rete di associazioni,
servizi sociali e legali, che hanno trovato la soluzione. Non posso rivelare
nulla prof. Da qui il mio silenzio.”
Quel
mutismo felice contagia anche me, che l’abbraccio senza dire una parola.
Ora Saima è lontana dalla
famiglia, ma ha portato via con sé un bel bottino: l’agognato diploma di
maturità e la speranza di un amore autentico.
Mica briciole. Quelle ai
piccioni.