martedì 4 settembre 2012

«LIETO FINE» il racconto di Valentina Meloni per il concorso "Indagine su Giulietta"



«Oh Romeo, Romeo! Perché sei tu Romeo? Rinnega tuo padre e rifiuta il tuo nome. O, se proprio non vuoi, fa soltanto di legarmi a te con un giuramento d’amore, ed io non sarò più una Capuleti.»
Le luci del teatro diventavano sempre più flebili. La luna di cartone riciclato, argentea, dominava sulla testa dei due amanti: Romeo Montecchi e Giulietta Capuleti, ne illuminava il volto e la muscolatura. Il balcone era splendido, in marmo finto, ornato da mille fronzoli, opera di un ottimo scenografo. Un’altra Giulietta Capuleti era presente in sala. Era lei l’ospite d’onore. Solo in sua lode era stata messa in scena la famosissima tragedia di Shakespeare. Ebbene, una donna importante come lei, direttrice di una delle catene più importanti della cosmesi italiana, aveva deciso di perdere un po’ del suo tempo per vivere l’avventura amorosa della sua cara cugina omonima Giulietta. Voleva sentire il sangue caldo dei due amanti scorrere nelle sue vene. Rubare un po’ della passione che aveva ucciso la dolce Capuleti quindicenne. Plasmare la sua anima sotto quella luce. Strinse i pugni, appoggiati sui braccioli della poltroncina. Sarebbe stato un omaggio al suo matrimonio. Un modo per dire: “Voi due non avrete mai un finale così tragico ma il vostro amore è forte tale e quale a questo”. Già, si sarebbe sposata presto con l’uomo più ricco della sua città, se non di tutte quelle d’Italia messe assieme. Sarebbe diventata ancora più importante di quello che era tuttavia si trovava ben lontana dalla realtà vissuta dall’adorabile cugina tutta latte e miele. Spostò lo sguardo dal palco alla poltroncina accanto alla sua. Era vuota, ovviamente. Ancora una volta lui per lei non era presente.
«E’ soltanto il tuo nome a essermi nemico: tu saresti sempre te stesso, anche se non fossi un Montecchi. Che può mai significar la parola “Montecchi”? Non è una mano, non un piede, non un braccio, né un volto, né alcuna parte che s’appartenga a un uomo. Oh, sii qualche altro nome! Che cosa c’è in un nome? Quel che noi chiamiamo col nome di rosa, anche se lo chiamiamo d’un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo. E così Romeo, pur se non fosse chiamato più Romeo, serberebbe pur sempre quella cara perfezione che egli possiede tuttavia senza quel nome. Rinuncia dunque al tuo nome, Romeo, e in cambio di quello, che pur non è alcuna parte di te, accogli tutta me stessa.»
D’un tratto un brivido le percorse la schiena, la quale rizzò. E lei si stava aggrappando a un nome? Desiderava che il profumo di quella rosa che si chiama rosa fosse tale a come era già, oppure la sua essenza l’avrebbe voluta contraria a quella che era? Aveva vissuto tutta una vita tesa al guadagno fin quando non si era accorta che nella sua vita mancava un sentimento vero per realizzarsi. Leggeva ripetutamente sui manoscritti conservati a casa sua quanto l’amore tra Romeo e Giulietta avesse rivoluzionato la vita delle loro famiglie, quanto il loro fuoco avesse bruciato ogni ostilità e il loro sacrificio portato pace e beatitudine. Allora si era messa alla ricerca del vero amore, quello duraturo, che avrebbe donato più che ricevuto. Una notte di dicembre di due anni fa pensava di averlo finalmente raccolto e intrappolato nella sua rete ma solo ora si accorgeva che era stata lei il pesce che aveva abboccato all’amo. L’uomo che diceva d’amarla non le aveva mai dato quello che Romeo, seppure interprete in quella tragedia, dava a Giulietta. Perfino due attori da quattro soldi recitavano meglio di lei e il suo futuro marito. Durante il corso della loro relazione aveva imparato ad abbassare la testa e fare quello che comandava perché a lui doveva tutto: il suo lavoro, la sua felicità, il suo amore. Gli voleva bene. Davvero tanto. Lo adorava in ogni singolo gesto che faceva come se fosse stato un simulacro d’oro, splendente nella sua bellezza. Ma lui non l’aveva mai apprezzata realmente. Ricordava chiaramente la prima volta che la  mano di lui aveva battuto sulla sua faccia “accidentalmente” aveva detto lui. Due mesi dopo i lividi erano moltiplicati e il trucco era l’ unica maschera per difendersi dagli occhi della gente. Alzò la manica del maglioncino. Una sfumatura violacea regnava sovrana, indelebile, per ricordarle quanto male aveva provato. Non aveva mai battuto ciglio, mai una reazione di troppo. Pensava seriamente che il problema fosse proprio; era lei che non riusciva a dare abbastanza affetto all’uomo a cui doveva tutto infatti quelle reazioni così violente e opportuniste con gli altri, i suoi colleghi e i suoi amici, non le aveva. Era lei il pezzo errato del puzzle che stavano componendo. Eppure, quell’istante, le parole di Giulietta, erano state folgoranti per lei. Un fulmine a ciel sereno! La gente che li vedeva da fuori diceva: “Che bella coppia” oppure “Il vero amore esiste” e lei ci aveva creduto. La faccia limpida del suo fidanzato non smascherava alcun peccato commesso sopra il suo corpo. Neppure i suoi genitori si erano accorti dell’uomo che era. I futuri sposi potevano definirsi dei pessimi attori in privato ma degli ottimi in pubblico! I suoi parenti lo lodavano e lei, infiacchita dal suo amore, aveva perso ogni granello di dignità e orgoglio che aveva. Ma era giunto il momento di cambiare. La risposta alle domande che si era fatta per mesi se davvero stesse agendo per il verso giusto, si era manifestata quel giorno, in quella rappresentazione. E lei sarebbe morta per il suo Romeo? Oltre al corpo, alla mente e all’accondiscendenza alla rabbia che covava, gli avrebbe donato anche la sua giovinezza? C’erano un solo Romeo e una sola Giulietta scritti nella storia della propria famiglia. Lei non aveva avuto la fortuna della cugina come i suoi genitori, ammaliati dalla favola della loro ava, volevano farle credere. Erano diventati ciechi a causa del demone di Amore ma i suoi lividi, sulle braccia, sulle gambe, sul suo viso, gli avrebbero fatto rivedere la luce.
Sui suoi occhi si dipingeva l’espressione di Giulietta Capuleti-attrice morente. Era arrivata a quel punto la tragedia. Abbassò lo sguardo, prese coraggio e con uno scatto si alzò. I primi borbottii riguardo il suo atteggiamento iniziarono ad aleggiare in sala. Si chiedevano probabilmente cosa stesse succedendo, come mai si fosse destata proprio in quel momento dell’opera così cruciale per la rappresentazione in atto. Giulietta si disfò della coperta di critiche e pregiudizi, prese la borsetta e con passo veloce si diresse verso l’uscita. Tutto si fece silenzioso attorno a sé. Solo il rumore dei tacchi picchietta nella propria mente con fare insistente e scandagliava il tempo che le mancava per esserne definitivamente fuori. I pensieri in testa erano come un fiume in piena che avrebbe abbattuto ogni cosa che avrebbe trovato lungo il proprio corso. Finalmente il coraggio di dire la verità era diventato il suo unico possessore ma la sua anima ribelle d’un tratto sbatté contro qualcosa. O qualcuno. Possente nella sua statura e fiero nell’animo, il suo fidanzato era lì davanti a lei. Era vestito del solito sorriso smagliante e con le braccia aperte la invitava a tornare al proprio posto. Se la gente attorno avesse avuto la capacità di decifrare il suo sguardo avrebbe capito che quello che diceva rivolto a lei, Giulietta, era: “Siediti che a casa facciamo i conti” ma ciò che realmente recepivano era solo: “ Cara, che succede?”. Lui le fece cenno di notare che stavano guardando e giudicando ogni minima loro azione. Giulietta si sentiva di nuovo piccola e inutile. Dov’era finita la donna forte di un tempo? Quel fiume in piena di energia non poteva essersi prosciugato in così poco tempo a causa di un uomo.
Per la prima volta nel lasso di tempo che li attorniava, i suoi occhi mirarono a quelli del futuro marito, del suo “Romeo”. Uno sguardo truce si dipinse sul suo volto. Non si sarebbe mai più fatta mettere i piedi in testa da un essere tanto inutile e nocivo per il mondo. L’uomo le cinse un braccio dolcemente per portarla a sedere come a far sembrare che lei fosse una malata di mente e lui il suo medico di fiducia pronto a offrirgli sostegno. In quel preciso istante Giulietta capì: la sua redenzione iniziava da ora. Si liberò dalla morsa del mostro e lottò con tutte le sue forze per scappare via; gli occhi puntati su di lei non le importavano, non più ormai, anzi! La deliziavano le pupille dell’ex ragazzo che si dilatavano sulla sua figura e la osservavano incredule.
Finalmente raggiunse la sala di ingresso al teatro. Per lei significava “USCITA”, fine di un capitolo della sua vita orribile, libera da una gabbia d’oro che l’aveva tenuta imprigionata anima e corpo per anni. A un tratto il suo piede calpestò un bigliettino pergamenato. Sembrava di antica fattura.
Si leggeva:

“L'amore è bensì una nebbia sollevata con il fumo dei sospiri e, se questa si dissipi, è un fuoco che sfavilla negli occhi degli amanti e se, sia contrariato, non è che un mare nutrito dalle lacrime di quegli stessi amanti. E che cos'altro può mai esser l'amore se non una follia molto segreta, un'amarezza soffocante e una salutare dolcezza?”

Accanto vi era una boccetta di plastica, stretta alla bocca e più larga man mano che si scendeva verso il fondo, rovesciata. A terra un liquido violaceo rendeva scivoloso il passaggio. Prese la boccetta e ne annusò l’interno. Un odore acre le riempì le narici ma subito le fece intuire il contenuto. Era veleno. Una risata, la sua, forte, ricca di odio, felicità, amore , asprezza e liberazione animò la sala tutta. Aveva vinto lei. Sciolta da ogni legame di schiavitù verso l’amore cattivo, che avvelena il sangue, e il mostro che l’aveva alimentata, si apprestava a vivere una vita che mai più avrebbe avuto sfumature bianche o nere ma piene di tinte sfavillanti e al massimo, nei periodi bui, di grigio ma in nessun caso del colore delle tenebre. Per anni si era chiesta come potesse assomigliare a Giulietta Capuleti in carattere, dato che tutti la comparavano al suo spirito; che cosa avesse di quella ragazza così dolce e troppo attratta dall’amore. Ora lo capiva perfettamente. Erano propri il coraggio e la determinazione e seppure entrambe li avessero fatti emergere in due occasioni completamente opposte, rimanevano comunque parte della stessa anima. Forse, l’antica Giulietta Capuleti viveva in lei.


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