martedì 17 aprile 2012

«QUANDO LE LUCI SI SPEGNERANNO, SAREMO NOI A ILLUMINARE IL PALCOSCENICO» il racconto di Enrico Arlandini per il concorso Indagine su Giulietta


L’odioso trillo della sveglia interrompe il sogno sul più bello, come capita sempre, in queste occasioni.
Chissà perché i sogni si palesano soltanto nelle vicinanze del mattino, anziché approfittare della dolce quiete notturna.
Allungando un braccio la zittisco bruscamente , sperando di averle procurato danni che a breve termine la costringeranno a un pensionamento anticipato.
Mi metto a sedere sul letto, stirando i muscoli indolenziti per l’immobilità delle ultime ore.
Dal pian terreno provengono i segnali della frenesia di mamma, che già dall’alba incomincia a dedicarsi al suo nuovo ruolo di casalinga a tempo pieno.
Sono trascorsi tre mesi da quando la ditta di import-export nella quale era impiegata ha dichiarato fallimento per gli effetti della crisi economica e ancora avverte profonda rabbia nel sentirsi tagliata fuori dal mondo del lavoro.
Riempire la giornata  con mille incombenze pare essere l’unica maniera di tenere a bada l’esaurimento nervoso che la insidia.
Mi avvicino alla finestra, spalancando le persiane.
Ovviamente la lezione obbligatoria all’università coincide con un magnifico tempo atmosferico, che invoglia a raggiungere ben altre destinazioni.
In piedi davanti allo specchio, mi osservo a figura intera.
Per fortuna tendo a non assimilare molto, perché in caso contrario  assomiglierei a una balenottera, con tutto quello che mangio.
Posso ritenermi piuttosto apprezzata  dall’universo maschile: probabilmente oltre al lato estetico piace di me una certa dose di naturalezza e spontaneità.
La voce della mamma interrompe il corso dei miei pensieri.
Devo sbrigarmi a scendere, altrimenti non la smette di strillare.
“Giulietta, datti una mossa”, “Giulietta farai tardi.”
“Giulietta non ne può più”, vorrei risponderle, ma mi trattengo.
Il bagno e’ occupato da mio fratello minore, che si lascia andare a  coloriti epiteti alla richiesta di liberarlo in fretta.
Litighiamo spesso ma quando uno dei due ha un problema serio, l’altro si fa sempre trovare disponibile per offrire conforto.
Finalmente pronta, dopo una veloce colazione mi dirigo verso l’ateneo.
La lezione di marketing aziendale e’ insopportabile, come la voce stridula del professore.
Così incomincio a distrarmi, finendo per arrivare all’argomento principe delle ultime litigate con i miei genitori.
Quando, durante un contrasto, mi rendo conto di avere torto, solitamente metto da parte l’orgoglio, ammettendo l’errore.
Nessuno deve però  permettersi di interferire nei miei sentimenti: anche se sono convinti che abbia intrapreso una strada sbagliata, devono comprendere che ho il diritto di percorrerla comunque.
Ho cercato in tutti i modi di far digerire la mia relazione con Flavio, senza il minimo risultato.
Non tollerano il suo comportamento un po’ spaccone,  anche se in realtà  dipende  dall’infanzia difficile, con madre e padre ai ferri corti, in un clima di violenza quotidiana.
Inoltre non sopportano la sua assoluta mancanza di aspirazioni e progetti: incapace di inquadrarsi nella società, tanto irrequieto da  cambiare lavoro con una velocità impressionante.
Con me e’ dolcissimo, ama riempirmi di piccoli regali e sorprendermi con le sue improvvisazioni.
A un ristorante di grido preferiamo una serata in trattoria, lontani dal caos cittadino, con un panorama stupefacente a  pochi metri.
Lui mi fa ridere, a volte piangere, ma sempre sentire viva come mai sono stata prima d’ora.
Non ci stanchiamo di ripetere all’infinito la solita scenetta.
E’ sufficiente incontrare una balconata per far sì che io la raggiunga, rivolgendomi a lui come nel dramma di Shakespeare.
Soltanto che questo Romeo, al posto delle battute, si limita a sfoderare  il suo irresistibile sorriso sfrontato.
Non mi regala mai fiori; non sopporta di vederli appassire tanto presto.
Spesso gli domando che ne sarà allora del nostro amore: lui lo paragona scherzosamente a un cactus, che riesce a sopravvivere a lungo anche privo di acqua.

Sono finalmente uscita dall’università: non potevo mancare,  visto che il prossimo esame lo sosterrò proprio con questo professore.
Raggiungo il motorino, scoprendo con disappunto che qualche imbecille ha parcheggiato tanto male il suo scooter da sfiorarlo.
Dopo aver controllato che non ci siano graffi mi avvio, fischiettando una canzone molto in voga in questo periodo.
Ferma a un semaforo, mi sembra di scorgere Flavio a bordo di un’auto proveniente a forte velocità dalla carreggiata opposta, ma il  modello e la targa non corrispondono, così rifletto su quanto sia vero che ciascuno di noi ha diversi sosia.
Appena arrivata a casa vengo accolta da un grande frastuono: mio fratello ascolta musica ad altissimo volume, mentre mamma non stacca gli occhi dall’ennesima televendita, alla ricerca di oggetti strampalati e inutili in offerta speciale.
Li abbandono ai rispettivi passatempi, entrando nella mia camera.
Sistemati gli appunti sulla scrivania accendo il computer, collegandomi a  Facebook.
Anche se non sono fanatica di questi mezzi di comunicazione, quasi tutte le mie amiche li utilizzano, quindi  rappresentano la maniera più rapida per rimanere in contatto.
Rispondo all’invito di Arianna per la pizza di domani sera, nella nostra serata per sole donne.
Flavio non disprezza queste uscite al femminile, approfittandone per incontrarsi con gli amici, tra partite a calcetto e serate al pub, infarcite di fiumi di birra e battutacce a sfondo sessuale.
Sorridendo delle loro trivialità, infilo le cuffie e mi sdraio a letto.
In breve tempo mi addormento, la musica ancora accesa a tenermi compagnia.
Il passaggio dal sonno alla veglia e’ brusco, per via degli strattoni ricevuti  da mia madre.
Ha gli occhi arrossati e le tremano le mani.
Ancora prima che inizi a parlare capisco che e’ successo qualcosa a Flavio.
Mi ha poi confessato di aver pianto immaginando il dolore che stava per arrecarmi.
E’ stata lei a prendere la telefonata: all’altro capo un carabiniere che le aveva sommariamente spiegato l’accaduto.
Tra i contatti indicati come preferiti sul cellulare di Flavio siamo stati i primi ad aver risposto, dato che i genitori risultano irreperibili.
Improvvisamente la vista si annebbia e mi cedono le gambe.
Avrei voglia di battere le mani e urlare:“Fermate le riprese! Non mi piace,  voglio cambiare il copione.”
  Arrivata sul luogo dell’incidente non riesco a distogliere lo sguardo dalla vettura  schiantata contro il muro e dal cadavere che ho dovuto riconoscere, in assenza di parenti.
Nella mente la danza macabra di tutti i fotogrammi dei momenti trascorsi con Flavio apre una ferita sempre più ampia, ingigantita dalla consapevolezza di averlo perso per sempre.
Abbracciata a mamma e papà, che mi sostengono da entrambi i lati, percorro pochi passi fino al parapetto oltre il quale si staglia una scogliera a picco sul mare.
Supplico loro di lasciarmi sola e, senza esitazioni, inizio la discesa, incurante della superficie appuntita e sconnessa.
Mi volto a guardarli: per un attimo credo abbiano temuto un gesto estremo, ma qualcosa nel mio sguardo li ha tranquillizzati.
Avverto tanto affetto nei miei confronti che mai avrei immaginato potessero provare.
Proseguo fino a uno scoglio piatto e ampio, sul quale mi siedo, a gambe incrociate.
Il vento scuote la camicetta leggera che non riesce a difendermi dal freddo.
Inizio a rivolgermi a lui, in un bisbiglio.
Sono sicura che questo stesso vento trasporterà a lui ogni singola parola.
Lo rimprovero per avermi lasciata sola, per essere scivolato in  un giro di  conoscenze sbagliate fino al tragico epilogo, al termine di un inseguimento con le forze dell’ordine.
Il complice e’ riuscito a fuggire, probabilmente lo cattureranno in breve.
Non riesco nemmeno a odiarlo, il vigliacco che si e’ dato alla fuga senza soccorrere il complice, limitandosi a sottrarre il bottino della rapina.
 Sono semplicemente svuotata di qualsiasi sentimento.
Altro che sosia, era davvero Flavio quello che incrociato in strada, mentre bruciava  sull’asfalto i pneumatici e la giovane vita.
Forse se mi avesse vista, in quel momento, gli eventi avrebbero preso un’altra piega.
Forse sarebbe ancora vivo.
Io ero la sua Giulietta, eppure il mio amore da solo non lo ha completato, se non unito all’adrenalina delle scorribande a bordo di auto rubate.
Lui era il mio Romeo e, come queste onde impetuose,  il suo ricordo si dibatterà incessante nelle anse del mio cuore.
Subito assomiglierà a una tempesta, per poi placarsi, tramutandosi in una risacca dal sapore dolce amaro.
Intraprendo la via del ritorno, non prima di aver urlato il suo nome.
Ovunque si trovi, appena gli giungerà l’eco della mia voce  non potrà fare a meno di dedicarmi quel suo bel sorriso.
Per niente sfrontato, stavolta, bensì timido e imbarazzato.
Sa di averla combinata grossa.








                                                                                                                                                                                                                                              

martedì 10 aprile 2012

«Freezer» di Andrea Saltini, per il concorso Indagine su Giulietta


Come una calamita la luna ha deformato il mio contorno, e mi rimane solo l'ultima sigaretta.Ho tirato fuori dal freezer la donna che stavi aspettando: Giulietta Capuleti. Quindi dovresti ritrovarla da un giorno all'altro. Per un po' sarà poco più di una sagoma, una splendida sagoma di donna stretta in un blocco di ghiaccio. Immobile come la zanzara trattenuta nella resina. L'essenza di una donna congelata e perfetta di una Giulietta piccola e triste. Quando il ghiaccio si scioglierà, potrai vedere la profonda scollatura dell'abito che indossa. L'ho scelto io. Giulietta è morta, come lo sarò io. Ho passato giorni indimenticabili al suo fianco, masticando caramelle gommose davanti alla televisione senza audio. Ho cucinato per lei tranci di baccalà in pastella, carciofi e patate, cime di rapa con le orecchiette. Un giorno, un po' di tempo fa, le ho promesso anche un anello con brillante. Come un gattino dispettoso, le alzavo la sottana sopra la testa e rimanevo lì, ipnotizzato, senza alcun controllo su ciò che facevo o dicevo. Giulietta sapeva tutto di me, e della mia famiglia. Abbiamo passato notti a ridere di quel mio ingenuo riduzionismo sentimentale, della goffagine delle mie poesie, e delle mie prose da scribacchino, e lo so, che fingeva di non commuoversi alle mie ciarle e omelie, quando ascoltava i miei versucoli inutili, lo so che non era così. Adesso se ne sta congelata in tutta tranquillità. Immobile. Se i prossimi giorni saranno di sole, allora Giulietta avrà un aspetto meraviglioso, sarà un' apparizione così abbagliante da lasciarti a bocca aperta. Probabilmente non oserai avvicinarti, colto da una specie di stupore come davanti a qualcosa di sacro e inarrivabile. Splenderà di scintille iridate, dal ghiaccio che la contiene al sole, e dal sole al ghiaccio, che ti sembrerà di vedere una dea dalla forma umana sorgere dall'abominio del ghiaccio, e dal fuoco del sole contemporaneamente. Luce e buio insieme. Ti piacerà molto, ne sono certo. Forse Giulietta Capuleti è una divinità, poiché non è concesso né a uomo, né ad animale essere così bello. Naturalmente l'ho congelata in posizione supina, il solco che attraversa la sua schiena è dritto e teso come una corda di violino. Non è un brutto solco, ma piuttosto lo definirei come lo spazio di una nota cantata da un tordo nel bosco. Quando sfilerai le forcine che fermano i suoi capelli, presta attenzione, perché cadranno due sontuose trecce bionde, spesse, come funi di lana d'acciaio. Questa donna è straordinaria, e adesso, si scongelerà solo per te! Sbaverai nei cucchiai delle sue magnifiche cosce e il tuo alito lambirà la pelle dei suoi polsi, freschi come una pagina bianca. Dietro al suo orecchio vedrai la luna e le perle dei suoi occhi avvamperanno come due fari nell'inchiostro della notte. Nei suoi occhi potrai vedere riflesse quelle cose che veramente, senza ipocrisia, senti di amare; non le cose umane, così afflitte di caducità e di mutamento, ma bensì gli alberi, i cirri del cielo, gli uccelli, i fiori, le cascate, le isole, gli astri, i bolidi sù dello spazio, e tutto ciò che nella tua mortalità senti come eterno, e che non ameresti se non lo sentissi, così, oscuramente, impietosamente irraggiungibile. Intoccabile. Anche il suo corpo è intoccabile, nessuno oserebbe mettere le dita sullo specchio, di ghiaccio che la contiene, le tue dita che anche quando sono più pulite, sempre sporche sono. Ora, non lasciarti turbare da questo fatto, ma Giulietta non porta il reggiseno. Rimarrai incantato davanti a questi seni d' amazzone, e il polline biondo del suo ventre ti annebbierà piacevolmente.
Porto le mani alla bocca e urlo! Comincio a piangere perché mi ricordo. Ci sono cose che un uomo non dimentica. Anche se fosse nulla, sento il mio cuore battere ancora è un cuore sterile, è un cuore che non sceglie. Mi ricordo quando la incontrai nella casa dell'autunno, era vestita di blu, blu i suoi occhi, e aveva un sorriso per me. Mettemmo in scena il nostro spettacolo  di nascosto dai familiari, sotto una tenda di foglie, e poi, ma poi, fummo vittime del sonno. La notte, il tempo lentissimo fece cenere dell' incendio dei nostri corpi, cancellando il nostro passato. Allora io piansi nel sonno, e quando mi svegliai ero uno splendido cervo maschio, con le ginocchia tutte graffiate. Avrei potuto congelarmi insieme a lei? Congelati per sempre nel ghiaccio degli innamorati, ma alla fine, ho chiuso nel freezer solo lei.
Il suo nome sarà acqua nella tua mano. Per me è finita. Tutto è finito quel giorno. Mi sono disteso lungo il suo fianco, ho respirato il mio nome nella sua bocca, e ho strappato una piccola manciata d'erba. Allora due grandi lacrime sono scivolate dai miei occhi alla gola. È andata così. Il mio bel dolore ha germogliato come lo stelo, senza resistenza, sulle mie labbra chiuse. Così, ho finito per rinchiuderla nel freezer, ed è diventata la mia Ofelia d'inverno.
Questa donna che ti lascio, è magnifica, i poeti e i bugiardi canteranno un giorno della sua bellezza senza nemmeno averla mai vista. Ti permetto di usare la nostra stanza, l'unica chiazza linda della casa, il copriletto bianco, il pavimento spazzato di fresco, e le sue scarpe allineate nell'armadio a muro. Ci sono i suoi vestiti sulle grucce, tutti i suoi libri in ordine alfabetico, e il grande specchio immacolato, proprio quello che in questo momento riflette il mio viso. Occhi gonfi e rughe. Ti lascio Giulietta perché sono come uno scrittore che non scrive più, perché sono l'incosciente depredato della sua coscienza, e anche, perché tu, sei il mio unico amico. È la donna che hai sempre desiderato, quel genere di donna che la maggior parte di noi, aspetta per una vita. Ora è morta, come lo sarò io. E anche tu un giorno lo sarai. Quando la troverai, non parlarle con arroganza, e soprattutto, mantieni bassa la temperatura, se desideri conservarla a lungo. Devi essere gentile con lei, e cedere alla sue pretese. Non metterla a parte dei tuoi segreti, ma non fingere con lei.
 Sempre tuo
Romeo Montecchi