martedì 4 settembre 2012

«AMORE E BRICIOLE» il racconto di Cristina Bardellotto per il concorso "Indagine su Giulietta"




La gita
I ragazzi caricano le valigie sul pullman.
La gita finisce qui.
Dopo un paio di notti insonni a vegliare nei corridoi dell’albergo, per evitare che la sfrenata fantasia degli adolescenti sfociasse nell’illegalità, mi sento distrutta.
L’idea della visita didattica a Venezia è stata del professor Costantin, che conosce la sua città d’origine fin nelle viscere e placa quella forma d’amore struggente, che è la nostalgia di casa, mettendo a punto ogni volta un itinerario diverso.
Mentre gli alunni si divertono, i colleghi intimano: mai più.
Ora, con il microfono in mano, fa l’appello.
Li chiama per nome.
Presente. Rassicurano.
“Saima?” chiede.
Nessuna risposta.
“Saima?”
“Non c’è, prof , Saima non c’è” risponde qualcuno.
“Come sarebbe a dire: non c’è?”
“Non è sul pullman, prof.”
“Non scherziamo!” taglia corto lui e poi mi si avvicina.
“Non faccio magie” lo anticipo, inquieta.
“Questo lo so” rimbalza lui. “Ma la conosci meglio di me.”
                        Certo che la conosco: è la mia alunna migliore. Di origine orientale, quando inizia a frequentare il nostro istituto deve ancora imparare la nuova lingua, ma è sempre allegra, studia con entusiasmo e tanta determinazione. Una rarità!
All’improvviso, compiuti i sedici anni e superato il termine dell’obbligo scolastico, è costretta dalla famiglia a lasciare la scuola, contro il suo volere.
Ma attende e, diventata maggiorenne, torna per ottenere il diploma di maturità.
Quando la rivedo, due anni dopo, ha gli occhi pieni di luce, pupille nere, brillanti, avide di conoscenza e ambiziose, di nuovo seduta dietro un banco.
“Costantin, manteniamo la calma, ho il suo numero di cellulare, posso chiamarla” suggerisco in modo perentorio.
“Va bene, come vuoi” acconsente. “Ai suoi compagni non risponde.”
A me, sì.
“Dove sei, Saima?”
“Sotto il campanile, prof, a San Marco.”
“Che fai ancora lì? Cosa succede?”
“Avevo delle briciole per i piccioni.”
“Mi aspetti?”
“Sì.”
E’ in mezzo alla piazza, avvolta nell’elegante abito turchese che la copre fino alle caviglie, magra, con il velo lasciato cadere sulle spalle e i capelli neri che luccicano e prendono il volo nell’aria inquieta. Non glieli avevo mai visti. Sembra un gigantesco volatile esotico, intento a nutrire i piccoli.
Quando la chiamo si volta e asciuga gli occhi.
“Chiedo scusa, prof, mi dispiace.”
“Anche a me. Vuoi dirmi qualcosa?”
“Ora no. Quando torniamo.”
A farla soffrire è qualcosa di grave. Non può essere una bambinata.


Cose che capitano
A casa è di nuovo routine.
La  sera mi rannicchio sul divano sotto una coperta leggera dell’Ikea.
Mio marito, messi a nanna Samuel e Rachele, si rifugia in studio.
            “Rispondo alle mail” mi convince, con quella lingua imperfetta, rubata un po’ all’inglese e un po’ all’informatica.
Io invece sono al telefono con Sara, mia sorella.
Parliamo di nostra nipote, una, tra le tante giovani donne, che si affacciano al balcone della vita amorosa, traboccanti di sogni e inesperienza, ignare del pegno, talvolta alto e ingiusto, che devono pagare per poter vivere in libertà i propri sentimenti.
Figlia di Gianmario, il fratello maggiore, abbiamo visto crescere Laura, mentre ancora, poco convinte, Sara ed io indugiavamo sulla scelta della nostra maternità.
Adesso è iscritta a medicina. Secondo anno.
Bella, con il viso ovale, gli occhi marroni e i capelli biondi, ha la pelle chiara e liscia dei bambini.
Da quando ha iniziato le sue prime storie d’amore, di cui parla anche alle zie con una sorprendente profusione di particolari, le suddette passioni hanno movimentato le nostre  chiacchierate telefoniche.
“Sara, hai in mente l’idiota che si è divertito con Laura, mentre negli stessi mesi usciva con un’altra ragazza, all’insaputa di entrambe?” chiedo, rivangando il passato.
            “Si, il divino Matteo, l’attaccante della squadra di calcio del quartiere” conferma mia sorella.
“Esatto! Il furbo è tornato a corteggiarla, dato che l’altra l’ha scaricato. Ma il fatto grave è che lei ne sembra lusingata e intenzionata a vederlo quando lo desidera.”
“Dopo tutto quello che le ha fatto passare, tra false promesse e tradimenti?”
“Dopo tutta quella roba lì.”
“E il recente fidanzato, presentato a tutta  la famiglia? Che ne sarà di lui?”
“Già, è una situazione a dir poco complicata. Ma tu, queste novità, da chi le hai sapute?”
“Da sua madre. Li ha visti gironzolare mano nella mano, proprio sotto casa. Al rientro ha  trascinato Laura di fronte al caos originario della sua stanza, dove i confini tra l’armadio, il letto e la scrivania sono impercettibili, a causa della quantità di oggetti sparsi che ricoprono tutto: libri aperti sul letto, calze penzolanti dalla cassa dello stereo, intimo da lavare dietro le tende, la collezione di smalti per unghie disseminata ovunque, collane e braccialetti sulla scrivania. Lì, di fronte a quello scenario post uragano, dopo averle intimato di riordinare subito, pena il sequestro del telefonino, ha ingiunto il diktat: divieto assoluto di vedere il giovane ex innamorato.”
“E la piccina come l’ha presa?”
“Piange.”
“Per una volta, però, approvo il rigore materno.”
“E’ un rigore labile.”
“E perché?”
“Perché non può tenerla chiusa in casa. Va a scuola, usa un telefonino, ha la sua vetrina su facebook  e ci sono mille possibilità di incontro con il doloroso amante.”
“Più appetibile, perché inviso ai genitori.”
“Appunto!”
“Una moderna Giulietta?”
“Meno tragica. Se decide di uscire con il ragazzo che, nonostante tutto, le fa girare la testa, alla fine la spunterà, senza troppo affanno.”
Ed è su questa profezia che ci sorprende, prima di salutarci, qualche attimo di silenzio.
Sappiamo senza dirlo che il passato è riemerso all’improvviso, come un relitto portato a galla dalle onde.


Anni novanta
Quando mia sorella Sara conosce Daniele, ha 23 anni. Sta per diventare biologa a pieni voti e ha una passione sportiva: la pallavolo. Gioca in una squadra importante della provincia di Milano, ma l’università e lo sport non le bastano: disciplinata com’è, si impegna anche nel volontariato con i clochard meneghini.
E’ l’orgoglio dei nostri genitori anche se, per falsa modestia, non lo danno a vedere.
C’è un solo neo: quel Daniele.
“Potrebbe almeno diplomarsi!” punge la mamma.
“Sì, è vero, forse lo farà” appiana Sara.
“A sentir lui è l’ultimo dei pensieri! Non vorrà fare tutta la vita il gestore estivo di rifugi in alta montagna?” incalza la mamma.
“Per oggi hai superato il limite!”inveisce Sara e se ne va, sbattendo la porta.
A quel tempo scambi di questo genere sono all’ordine del giorno.
Non è solo il mancato pezzo di carta che i genitori non digeriscono. E’ un po’ tutto di quel Daniele che proprio non va! E’ l’ostentazione di ricchezza che invece non c’è, o se c’è stata non ne è rimasto quasi nulla. E’ l’aprire il frigorifero come fosse a casa sua. E’ quel fumare incessante senza mai chiedere il permesso. E’ il non avere progetti seri per il futuro e, ancor di più,  è la sua faccia d’angelo che confonde; così bella, che Sara non vede altro.
Ma la sfida aperta con i genitori, per il suo Romeo, la gioca fino in fondo.
Trova un lavoro gratificante pochi mesi prima di laurearsi e va a vivere con Daniele.
I nostri genitori, lividi di rabbia, non partecipano alla discussione della sua  tesi di laurea, ottenuta con l’annunciata lode.
Lei, che ha annaffiato la sua ambiziosa carriera negli studi, con la stima, il sostegno e l’orgoglio dei due assenti, incassa il colpo, invitando tutti per la festa, nella nuova dimora. 
Mamma e papà, per sopportare meglio l’offesa, sono lontani.
Niente di grave.
Solo pochi anni e il nido sarà vuoto.
Sara e Daniele non si amano più.


Dopo la gita
            Saima non mi dice niente e per qualche settimana l’episodio accaduto in gita cade nell’oblio, almeno in superficie.
            Ma le assenze frequenti, in prossimità degli esami, così insolite per lei, lasciano presagire nuove difficoltà a casa.
            Eppure i buoni voti a scuola, la sinuosa disinvoltura dei suoi movimenti, l’eloquio sicuro, quelle dita che durante l’intervallo diventano gocce di una pioggia battente sulla tastiera del telefonino, non sono indizi negativi.
            Un giorno prende coraggio e all’uscita dalle lezioni mi si avvicina, per svelare il curioso mistero che la avvolge da alcune settimane.
            “Mi sono innamorata, prof.”
            “Questa è una buona notizia.”
            “Quella brutta è che la mia famiglia mi sta organizzando il matrimonio con un estraneo, un uomo del nostro paese, contro tutta la mia volontà.”
            “Santo cielo, come possono farlo?”
            “Di questo mi sono noti persino i dettagli. Conosco donne che hanno sopportato tale violenza tutta la vita. Io, però, negli ultimi tempi mi sono occupata di come impedire loro di farmi così male, affidandomi a una rete di associazioni, servizi sociali e legali, che hanno trovato la soluzione. Non posso rivelare nulla prof. Da qui il mio silenzio.”
            Quel mutismo felice contagia anche me, che l’abbraccio senza dire una parola.
Ora Saima è lontana dalla famiglia, ma ha portato via con sé un bel bottino: l’agognato diploma di maturità e la speranza di un amore autentico.
Mica briciole. Quelle ai piccioni.


                       









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