lunedì 27 agosto 2012

«Elastica» il racconto di Martina Serafin per il concorso "Indagine su Giulietta"


Sentì l’impellente bisogno di cambiare programma sulla via del centro commerciale di sabato pomeriggio. Era come non potesse fare a meno di gettare le braccia al collo di Tom. Sarebbe stata una sorpresa sensazionale, di quelle che ti fanno ridere incredulo e pensare che allora non succede solo nei romanzi stupidi. Aveva pochissimi minuti per dare forma al suo desiderio, nella sfilata di capannoni incandescenti che già s’intravedeva dal finestrino.
“Papà, che ne dici di accompagnarmi dal mio amico che abita qui vicino?”, propose sporgendosi come un piccolo animale selvatico dal sedile posteriore.
Ai suoi piaceva parecchio la verità, anche quella impertinente, perciò la premiarono con una pronta deviazione. Mamma aveva il sorriso di chi ti conosce così bene da poterti promettere la tua esatta idea di paradiso ma ti chiede in cambio una tacita, maestosa lealtà.
“Rebecca, ti veniamo a recuperare dopo cena, non fare stronzate…”, finse severità papà, che aveva già inquadrato il tipo e ritornava pure un po’ giovane. Si rivedeva in quello strano ragazzo, anche se non gli conveniva granché ammetterlo e sperava sua figlia non cogliesse la somiglianza. Tanto Becky lo sapeva eccome, ben prima di ripagare i suoi con sguardo infinitamente grato e incamminarsi colma di ogni formidabile gioia verso casa di Tom. 
Sciolse il ghiaccio sul campanello con il calore dell’indice, dopo aver suonato a vuoto un paio di volte. Dorme, non fa nulla, sarà ancora più sorprendente.
Entrò agile dalla finestra della taverna e fu subito avvolta da un senso di terrore domestico, che rendeva tutto così normale e inquietante. Del fumo vischioso si appoggiava sulle cose e sembrava ricoprirle fino a farle sparire, uno schermo gettava la luce di qualche malinconico MTV Unplugged all’ennesima replica, la poltrona era ancora tiepida e scomposta.
Ma di Tom neanche l’ombra.
Becky non si azzardò a chiamarlo, avrebbe rovinato la presunta atmosfera, e decise di aspettarlo con la stessa discrezione del portacenere pieno sul bordo del tavolino. Fu travolta da proiezioni spontanee di serate a festeggiare qualche compleanno, i tredici, i quattordici e i quindici anni novanta. Impazziva per il rito della playlist: andava da ciascuno degli invitati, l’esortava a scrivere il suo pezzo preferito del momento su un taccuino e si divertiva a combinarli in sequenze mozzafiato da sprigionare senza interruzione. Funzionava sempre, era la sua specialità, la rendeva una ragazza da andarne fieri, l’unica con cui accorgersi fosse l’alba e un bacio al volo prima di dare una sistemata alla stanza e filare a letto.
Tom, però, non tornava.
Il torpore dei ricordi svanì d’un tratto e Becky fu divorata dalle fauci di un pericolo incombente. Il cuore in gola, le sembrava un altro battito rallentasse, come ne stesse sincopando il ritmo col suo martellare furibondo. Una pulsazione in meno e l’avrebbe perso, ovunque lui fosse.
Salì disperata in camera, in cucina, in bagno. Il bagno. Apri la cazzo di porta, Tom.
Era così agitata da non abbassare del tutto la maniglia e notò solo all’ultimo tentativo che quella scena non era chiusa a chiave: se ne stava lì, candido, la schiena contro la vasca, le gambe divaricate e un laccio emostatico attorno al braccio. Becky non registrò altro ma capì che non aveva ancora avuto il coraggio del caso e gli si buttò addosso. Senza una parola, slegò il serpente chirurgico e lo trascinò sul materasso, sfoggiando una prontezza di spirito che tradiva la paura più sconfinata.
“Era la mia prima volta…”, sibilò Tom immobile, spiritato.
Becky cadde debole al suo fianco, le pareva di aver corso fino all’orlo della vita per guardare giù la morte e ritrarsi inorridita. Rigava il cuscino di lacrime invisibili, incapace di ribattere, mentre la neve fuori riproponeva a fiocchi virtuosi il consueto tema del Natale alle porte. Si strinse comunque a lui per il freddo e indugiarono alcuni istanti sul filo di silenziosi perché. Quindi, schioccate le nocche e raccolto il senno, Tom ebbe l’intuizione del secolo nella lotta contro lo schifo cosmico. Cominciò a spogliarla, talmente lento e delicato che Becky l’avrebbe potuto fermare con un soffio ma lo lasciò fare, lo fece affondare tutte le volte che voleva e aveva immaginato, forse anche di più.
Al diavolo.
Lo ritrovò d’incanto in piena, con il segno dell’elastico a cerchiargli di rosso il gomito. Coglione. Che ti eri messo in testa di provare, quando bastava chiedermi di fare l’amore per sempre. Stavolta davvero. Avvertì il sangue scendere e poi scorrere lontano, come il lenzuolo fosse mare… Era la mia prima volta.










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