lunedì 27 agosto 2012

«L & L» il racconto di Roberta Cadorin per il concorso "Indagine su Giulietta"


     STACK
…CRACK….
…BOOM….
Che ore sono? Sono già le 5.00? Ho dormito così tanto che non mi sono nemmeno accorta della notte che stava passando.
Eccoli lì. Con le loro tenaglie e le loro bestemmie.
Arrivano puntuali ogni 12 giorni, quando siamo in alta stagione e ogni 20 giorni, quando la stagione è bassa. Oppure arrivano, quando quelli del teatro li chiamano perché non riescono più ad aprire le porte. Lavorano con buona lena perché in un paio d’ore devono riuscire a staccare più lucchetti possibile. E’ un lavoro faticoso, ma per loro è diventata una gara. Una sfida a chi ne apre di più.
Io li osservo e sorrido. Seppur adulti e muscolosi, in questo frangente diventano dei ragazzini. In questo momento riacquistano anche un sano sadismo che consente loro di avere un nuovo vigore, di fronte a quell’incombenza che hanno quasi imparato ad apprezzare.
    “Ciao, ciao Lorenzo e Elisa…Aufwiedersehen Hans und Brigit…Bye bye Jack and Grace…Adieu Amelie e Vincent…Adiòs  Alejandro e Ester…Addio Stefano e Eleonora…”
Sì, sono loro che in realtà decidono la sorte di una storia d’amore. Sono loro che distruggono i lucchetti decidendo quale sarà l’amore che durerà e per quanto tempo. Alcuni vengono staccati subito, altri stazionano lì, per mesi, anni. Il più vecchio è laggiù, in basso a sinistra. Solo un cuore e due iniziali L e L.
Loro hanno deciso di lasciarlo lì. E’ arrugginito dal tempo. Ogni volta, quando hanno finito il loro lavoro, si avvicinino a quel lucchetto e fanno l’ennesimo giochino
   “Luis e Luisa”, “No…Laura e Luca”, “Lucia e…Luigi”
Nessuno di loro lo sa. Io lo so quali sono i veri nomi. Ogni tanto vorrei riuscire a parlare, per svelare loro il mistero, ma poi, alla fine, mi diverto troppo a vederli giocare.
   “Caffè?”
   “Meglio una birretta, con questo caldo…”
Ecco hanno finito, sono già le 7.00 e sanno che fra un po’ arriverà la massa di persone.
La folla arriva prima in piccoli gruppetti sparuti. Prima le comitive degli stranieri e poi lentamente le famiglie e infine i ragazzi.
Sono tutti diversi, ma ognuno di loro insegue il sogno comune: l’amore.
Si affacciano al mio balcone, salutano, sorridono. Poi si aggrappano a me, mi toccano il seno destro, qualcuno con malagrazia, altri con delicatezza e poi…fanno la foto.
Tutti a sorridere per fare quella foto, a ricordo di un amore esistente o da divenire.
Io li guardo e mi rassegno. Vorrei dire loro di andare di via. Perché vengono da me a cercare la fortuna in amore? Ne sono diventata il simbolo è vero, ma di un amore tragico, sofferto, inutile. Un amore che mi ha portato al suicidio. Cosa cercano loro, la tragedia o la sofferenza.
Sono tutti pronti a chiedere, ma chi è veramente disposto a donarsi completamente, chi è disposto a soffrire per amore. Ma poi ne vale veramente la pena?
Uccidere per amore. Quante tragedie ho visto nel cuore di quanti sono venuti fino a me.
Erika era una bambina, scappata da scuola per arrivare qui, a Verona, con il suo Omar. Un viaggio di poche ore ma che valevano una vita. Un viaggio a benedire quell’amore che i suoi genitori osteggiavano. Cosa ne è rimasto? Un bagno di sangue, accuse, misteri e la morte.
Poi c’è stata la volta di Vincenza. Ha abbandonato tutti e tutto per seguire un uomo più grande di lei. Fagocitata da quel rapporto malato di sottomissione e violenza. Lui potente e vigoroso. Lei soffocata e incapace di vedere, di sentire. Dopo i figli. Lei comprende che quello di suo marito non è amore e scappa, ritorna da quella madre che le aveva detto “Non mi piace, scegli o noi o lui”. Vincenza ritorna, come il figlio prodigo. Lui fa una strage. Vincenza rimane l’unica superstite, a memoria dell’ennesimo amore tramutato in morte.
Un venerdì è arrivata Tiziana. Era sottile come un giungo, ormai si stava spezzando ma non voleva arrendersi. Non voleva riconoscere che l’uomo che aveva davanti la stava uccidendo lentamente, togliendole il cibo da tavola e la manipolava. Lei voleva ancora aggrapparsi a quell’amore, sperarci, ma ancora una volta l’amore tramutato in morte.
Un giorno di maggio sono arrivati in tre. Amanda e Meridith abbracciate a me. Raffaele scattava la foto. Avrei voluto urlare a Meredith di scappare, invece era stata intrappolata nella rete di un amore strano, un amore di gruppo. Meredith cercava l’amore che potesse renderla felice e invece era entrata in un orgia di sangue e morte. Ancora la morte.
C’è stata Chiara, con il suo viso da bambina e un amore ancora da conoscere. Chissà se quando la polizia ha analizzato il computer di Alberto ha trovato anche quella foto. Lei che sorrideva abbracciata a me, guardando quel piccolo uomo che l’avrebbe travolta fino alla morte.
Sono in quei momenti che il mio sguardo cambia.
Tutti sono troppi intenti a toccarmi il seno per vedere la mia espressione, il mio volto. Non c’è gioia nel mio viso, non c’è felicità. Vorrei poter aver vissuto un amore intenso, duraturo. Vorrei aver avuto la fortuna di addormentarmi vicino al mio Romeo e svegliarmi ogni giorno, fino a che le rughe segnavano il nostro volto. Vederci invecchiare, ancorati uno all’altra per sostenerci. Ma non è stato così.
Guardo le coppie anziane che ancora si tengono per mano e mi osservano. Le persone che amano veramente. Sono le uniche che non si avvicinano a me. Mi guardano da lontano e non chiedono niente. L’amore vero loro che ce l’hanno stretto. Mi guardano e provano per me un velo di tristezza. Io, Giulietta, testimone di una tragedia, massacrata da mani ingorde che chiedono a me, proprio a me, di aiutarli nell’amore. A me che non sono riuscita ad aiutare me stessa. E’ in quei momenti, quando leggo in quei cuori, che sorrido. Li ringrazio per volermi bene e per il rispetto accordatomi.
Sono le 8.00. Si chiude, finalmente. Sono tutta indolenzita. Il mio seno destro è sempre più lucido ed il mio corpo sempre più ossidato.
    “Buona notte Giulietta”
Eccola lì Laura, l’ultima ad uscire da questo chiostro. L’ultima a salutarmi.
Lavora qua da un qualche anno e ogni giorno, alla chiusura, compie i soliti gesti, mi saluta e osserva che il suo lucchetto sia sempre lì. Un cuore e due L. Lo accarezza e sorride.
Sì perché anche Laura ha lasciato tutto e tutti per un amore. I suoi genitori l’hanno diseredata, buttata fuori di casa, umiliata. Lei però ha inseguito il suo amore, il suo sogno. Ma lei è ancora qui ad accarezzare quel lucchetto e a sorridere. Lei che sa che quell’amore è l’amore vero. Di fronte alla richiesta di scegliere, ha scelto ciò che il cuore sentiva. Lei ha deciso di amare una donna, Lavinia. Si sono incontrate qui, in questa casa. Lavinia arrivava dal Trentino, Laura osservava con malcelato cinismo il can can di gente che arrivava.
     “Chissà quante storie finiranno di tutti questi lucchetti” Lavinia aveva guardato Laura.
I suoi capelli corti, il suo percing al naso. Laura le aveva sorriso. Un sorriso che valeva più di mille parole.
Il loro lucchetto è ancora lì. Fermo e solido come il loro amore.
     “Buona notte Laura” sussurro “ci vediamo domani”.

Nessun commento:

Posta un commento