lunedì 27 agosto 2012

«La terza Giulia» il racconto di Simone Censi per il concorso "Indagine su Giulietta"


Si chiuse la porta del bagno dietro di se, sollevando leggermente la maniglia in modo che le cerniere cigolanti non svegliassero prima del tempo il resto della famiglia.
Come ogni mattina si era alzata prima degli altri, uscendo come un’ombra dalla camera per preparare la colazione ed il pranzo da portare a lavoro per suo marito e suo figlio grande.
Il più piccolo ancora studiava all’università, fuoricorso da quasi tre anni era divenuto presto la disperazione di casa, ma rimaneva comunque il più piccolo e per certi versi anche il più viziato, mentre il più grande si sarebbe presto sposato e sarebbe andato a vivere con la sua futura moglie, anche se ancora non si capiva bene dove.
Giulia non aveva provato nemmeno per un attimo la paura del distacco, un piccolo nipotino sarebbe nato giusto un paio di mesi dopo il matrimonio e sarebbe toccato a lei  il compito di crescerlo, mentre i neo genitori erano al lavoro.
Nonna.
Se lo ripeteva tra se e se, fino a svuotare completamente il significato del termine, poiché con le nuove generazioni le nonne svolgono sempre più il ruolo delle mamme ed i nuovi arrivati diventano sempre più dei figli aggiuntivi.
Oltretutto Giulia non riusciva proprio a vedersi nel ruolo di nonna, lei ancora dinamica, combattiva e battagliera, scrittrice per una testata locale, amata e allo stesso tempo temuta per i suoi attacchi frontali dalle colonne del giornale, che lasciavano sempre immancabilmente il segno.
Quella mattina però non era una mattina come le altre.
Fece girare la chiave nella serratura, due mandate.
Vampate di calore l’avevano perseguitata tutta la notte ed aveva bisogno di fare una lunga doccia.
Tirò la tenda dietro di se in modo da non bagnare il pavimento e s’immerse sotto il getto di acqua.
Uscì dopo parecchio tempo, socchiuse la finestra per far uscire l’enorme quantità di vapore che si era formato nella stanza, mentre un intenso odore di bagnoschiuma al sandalo aveva saturato l’ambiente.
Le bianche pareti del bagno e quella nebbia che si era creata, rendevano l’ambiente strano, quasi fosse stata in un sogno.
Si avvicinò al lavandino ponendosi sopra il tappetino celeste ed alzò lo sguardo verso la specchiera.
Rimase immobile davanti allo specchio persa nella propria immagine riflessa, appena impercettibile dietro la condensa che si era formata dopo la doccia.
Il rubinetto non perfettamente chiuso sembrava scandire il tempo che trascorreva.
Vedeva solamente i propri lineamenti, un’immagine sfuocata che in simili situazioni era abituata a riconoscere. Non quella volta però.
Aveva passato la mano in prossimità del riflesso del suo volto e la donna che era apparsa quella mattina non era la solita.
Con quegli occhi ancora da ragazzina ingenua, aveva di fronte a se una donna che ragazzina non lo era più.
Sempre piacente, con un viso interessante, ma non con quella pelle che era solita farsi accarezzare dalle callose mani di suo marito.
Guardò con disincanto le creme antietà che stavano appoggiate sul ripiano.
Si voltò di nuovo e questa volta, con la finestra aperta, il vapore era andato quasi completamente via, lasciano l’intera immagine di Giulia al proprio spietato esame.
Si soffermò ancora un po’ sul collo -il collo non mente mai sull’età di una donna-  pensò tra se.
Era una di quelle parti, dove nessun trattamento miracoloso poteva fare qualcosa e già iniziò a pensare a cosa potesse abbinare a quella maglia celeste a collo alto che aveva nell’armadio, nella speranza che la temperatura all’esterno non fosse troppo mite e potesse giustificare quel capo un po’ fuori stagione.
I rumori provenienti dalla cucina la riportarono alla realtà e si voltò di scatto come se fosse stata scoperta in flagranza, assorta tra i suoi pensieri e allungò una mano verso la maniglia d’ottone lucido per uscire, ma qualcosa la bloccò.
Ebbe un’esitazione.
Quella mattina non era una mattina come le altre, era una mattina diversa.
Forse non era quella mattina ad essere diversa dalle altre, forse era solamente lei a sentirsi diversa.
Ritornò di fronte al grande specchio.
Quella che aveva di fronte a se non era più la prima Giulia, quella ragazza fresca e gentile, dal corpo esile e un po’ sognatrice, dal carattere affabile ma al tempo stesso deciso, con tanti progetti da realizzare e con tante speranze per il futuro.
Quella che aveva di fronte a se non era nemmeno la seconda Giulia, quella donna che aveva conosciuto l’uomo della sua vita e aveva lottato a lungo per averlo, prima contro il volere della sua famiglia, poi contro i vari trasferimenti dovuti al lavoro e le difficoltà per raggiungere una stabilità economica e infine contro qualche civetta che minacciava il loro rapporto.
Quella seconda Giulia che aveva partorito due splendidi bimbi che erano cresciuti ed erano diventati adulti, quella che aveva perso un altro bambino durante il travaglio, che era sopravvissuta a tanti anni di matrimonio, aveva sconfitto un tumore e aveva fatto fronte a tante avversità.
Quelle Giulia non erano più di fronte ai propri occhi, ma erano dentro quella nuova figura che adesso aveva dinanzi a sé, una terza Giulia con la quale ora doveva fare i conti e con la quale doveva misurarsi per il futuro.
I capelli legati indietro con una molletta, ancora di un nero corvino, lasciavano intravedere alcune striature biancastre, appena impercettibili ma presenti e scoprivano un viso che implacabile portava i segni del tempo.
Prese il barattolo di crema esfoliante al Verdicchio ed olio di oliva e iniziò a passarlo sul viso disegnando con i polpastrelli dei piccoli cerchi verso l’esterno, sotto gli occhi, sugli zigomi, sulla fronte e sulle guance.
Si sciacquò a lungo il viso con l’acqua corrente, passando i polpastrelli lungo i suoi tratti, come per riconoscerli al tatto.
Si avvicinò ancora un po’ alla superficie riflettente e solo allora si riconobbe, guardandosi fissa negli occhi.
Era proprio lei, erano proprio i suoi occhi, solamente aveva attraversato la metà del proprio cammino.
Gli occhi erano rimasti sempre quelli, era mutato il suo corpo che l’aveva accompagnata per tutta la vita.
Dalla finestra socchiusa entrava un filo d’aria che pian piano abbassava il livello d’umidità e dallo specchio, dove aveva passato la mano, la condensa si era accumulata formando una piccola goccia che lentamente scendeva verso il basso, proprio sulla sua immagine riflessa, proprio all’altezza della sua guancia.
La sua immagine riflessa sembrava piangesse, quelle lacrime che Giulia aveva versato in tanti anni di difficoltà e che ora non aveva più da versarne.
Però in quel momento lei era sola con se stessa e nessun altro la poteva vedere.
Passò la mano sulla specchiera e quella lacrima rimase lì.
Capì allora che non era la condensa, ma era veramente una lacrima uscita dai suoi occhi, una lacrima che le stava in quel momento solcando le guance per avviarsi verso il mento.
Riconobbe in quel mentre gli occhi lacrimosi di quando era bambina e la goccia di pianto al passaggio sembrava lasciare una pelle diversa, una pelle nuova, come rinata.
Si sciolse i capelli e tolse l’asciugamano, rimanendo nuda di fronte la superficie riflettente.
Aveva necessariamente bisogno di gettare un ponte tra il passato ed il presente, aveva necessità di riconoscersi ed accettarsi nuovamente per quella che era.
Aveva bisogno di essere assolutamente presente, presente a se stessa ma non solo, presente anche a tutti i suoi cari che avevano bisogno di lei, che contavano su di lei, sulla sua grinta, sulla sua carica, sulla sua solidità morale e spirituale.
Aveva lottato tanto per quello che era riuscita ad ottenere e niente, nemmeno il tempo che inesorabilmente trascorreva, poteva far vacillare quella stabilità tanto sospirata.
La lacrima continuò a scendere fino a lambirle le labbra, tanto da poter saggiare quel suo sapore salino, e quel sapore svegliò in lei antiche memorie, quella lacrima gettò per lei il ponte con il passato.
Era lo stesso sapore, quel sapore che da bambina aveva saggiato per un amore non compreso o non ricambiato, quel sapore che aveva provato di fronte alla malattia, una sofferenza o una preoccupazione.
A quel sapore Giulia, in ogni frangente della propria vita, aveva risposto con tutta l’energia che aveva in corpo, facendo fronte a tutte le difficoltà che gli si erano presentate durante la vita, con un sorriso e tanta determinazione.
Era quella la molla che serviva per andare avanti, era quella la risposta di cui aveva bisogno, aveva ancora tanto di fronte a se da fare ed anche se il tempo non mancava, sapeva che di tempo non ce n’è mai a sufficienza.
Non c’era tempo da perdere di fronte alla propria immagine riflessa, che nessuno specchio mendace avrebbe mai potuto rimandare l’immagine veritiera di quella Giulia.
Prese con forza la maniglia, ora la terza Giulia sapeva cosa doveva fare.

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