Si chiuse la
porta del bagno dietro di se, sollevando leggermente la maniglia in modo che le
cerniere cigolanti non svegliassero prima del tempo il resto della famiglia.
Come ogni
mattina si era alzata prima degli altri, uscendo come un’ombra dalla camera per
preparare la colazione ed il pranzo da portare a lavoro per suo marito e suo
figlio grande.
Il più piccolo
ancora studiava all’università, fuoricorso da quasi tre anni era divenuto
presto la disperazione di casa, ma rimaneva comunque il più piccolo e per certi
versi anche il più viziato, mentre il più grande si sarebbe presto sposato e
sarebbe andato a vivere con la sua futura moglie, anche se ancora non si capiva
bene dove.
Giulia non aveva
provato nemmeno per un attimo la paura del distacco, un piccolo nipotino
sarebbe nato giusto un paio di mesi dopo il matrimonio e sarebbe toccato a
lei il compito di crescerlo,
mentre i neo genitori erano al lavoro.
Nonna.
Se lo ripeteva
tra se e se, fino a svuotare completamente il significato del termine, poiché
con le nuove generazioni le nonne svolgono sempre più il ruolo delle mamme ed i
nuovi arrivati diventano sempre più dei figli aggiuntivi.
Oltretutto
Giulia non riusciva proprio a vedersi nel ruolo di nonna, lei ancora dinamica,
combattiva e battagliera, scrittrice per una testata locale, amata e allo
stesso tempo temuta per i suoi attacchi frontali dalle colonne del giornale,
che lasciavano sempre immancabilmente il segno.
Quella mattina
però non era una mattina come le altre.
Fece girare la
chiave nella serratura, due mandate.
Vampate di
calore l’avevano perseguitata tutta la notte ed aveva bisogno di fare una lunga
doccia.
Tirò la tenda
dietro di se in modo da non bagnare il pavimento e s’immerse sotto il getto di
acqua.
Uscì dopo
parecchio tempo, socchiuse la finestra per far uscire l’enorme quantità di
vapore che si era formato nella stanza, mentre un intenso odore di bagnoschiuma
al sandalo aveva saturato l’ambiente.
Le bianche
pareti del bagno e quella nebbia che si era creata, rendevano l’ambiente
strano, quasi fosse stata in un sogno.
Si avvicinò al
lavandino ponendosi sopra il tappetino celeste ed alzò lo sguardo verso la
specchiera.
Rimase immobile
davanti allo specchio persa nella propria immagine riflessa, appena
impercettibile dietro la condensa che si era formata dopo la doccia.
Il rubinetto non
perfettamente chiuso sembrava scandire il tempo che trascorreva.
Vedeva solamente
i propri lineamenti, un’immagine sfuocata che in simili situazioni era abituata
a riconoscere. Non quella volta però.
Aveva passato la
mano in prossimità del riflesso del suo volto e la donna che era apparsa quella
mattina non era la solita.
Con quegli occhi
ancora da ragazzina ingenua, aveva di fronte a se una donna che ragazzina non
lo era più.
Sempre piacente,
con un viso interessante, ma non con quella pelle che era solita farsi
accarezzare dalle callose mani di suo marito.
Guardò con
disincanto le creme antietà che stavano appoggiate sul ripiano.
Si voltò di
nuovo e questa volta, con la finestra aperta, il vapore era andato quasi
completamente via, lasciano l’intera immagine di Giulia al proprio spietato
esame.
Si soffermò
ancora un po’ sul collo -il collo non mente mai sull’età di una donna- pensò tra se.
Era una di
quelle parti, dove nessun trattamento miracoloso poteva fare qualcosa e già
iniziò a pensare a cosa potesse abbinare a quella maglia celeste a collo alto
che aveva nell’armadio, nella speranza che la temperatura all’esterno non fosse
troppo mite e potesse giustificare quel capo un po’ fuori stagione.
I rumori
provenienti dalla cucina la riportarono alla realtà e si voltò di scatto come
se fosse stata scoperta in flagranza, assorta tra i suoi pensieri e allungò una
mano verso la maniglia d’ottone lucido per uscire, ma qualcosa la bloccò.
Ebbe
un’esitazione.
Quella mattina
non era una mattina come le altre, era una mattina diversa.
Forse non era
quella mattina ad essere diversa dalle altre, forse era solamente lei a
sentirsi diversa.
Ritornò di
fronte al grande specchio.
Quella che aveva
di fronte a se non era più la prima Giulia, quella ragazza fresca e gentile,
dal corpo esile e un po’ sognatrice, dal carattere affabile ma al tempo stesso
deciso, con tanti progetti da realizzare e con tante speranze per il futuro.
Quella che aveva
di fronte a se non era nemmeno la seconda Giulia, quella donna che aveva
conosciuto l’uomo della sua vita e aveva lottato a lungo per averlo, prima
contro il volere della sua famiglia, poi contro i vari trasferimenti dovuti al
lavoro e le difficoltà per raggiungere una stabilità economica e infine contro
qualche civetta che minacciava il loro rapporto.
Quella seconda
Giulia che aveva partorito due splendidi bimbi che erano cresciuti ed erano
diventati adulti, quella che aveva perso un altro bambino durante il travaglio,
che era sopravvissuta a tanti anni di matrimonio, aveva sconfitto un tumore e
aveva fatto fronte a tante avversità.
Quelle Giulia
non erano più di fronte ai propri occhi, ma erano dentro quella nuova figura
che adesso aveva dinanzi a sé, una terza Giulia con la quale ora doveva fare i
conti e con la quale doveva misurarsi per il futuro.
I capelli legati
indietro con una molletta, ancora di un nero corvino, lasciavano intravedere
alcune striature biancastre, appena impercettibili ma presenti e scoprivano un
viso che implacabile portava i segni del tempo.
Prese il
barattolo di crema esfoliante al Verdicchio ed olio di oliva e iniziò a
passarlo sul viso disegnando con i polpastrelli dei piccoli cerchi verso
l’esterno, sotto gli occhi, sugli zigomi, sulla fronte e sulle guance.
Si sciacquò a
lungo il viso con l’acqua corrente, passando i polpastrelli lungo i suoi
tratti, come per riconoscerli al tatto.
Si avvicinò
ancora un po’ alla superficie riflettente e solo allora si riconobbe,
guardandosi fissa negli occhi.
Era proprio lei,
erano proprio i suoi occhi, solamente aveva attraversato la metà del proprio
cammino.
Gli occhi erano
rimasti sempre quelli, era mutato il suo corpo che l’aveva accompagnata per
tutta la vita.
Dalla finestra
socchiusa entrava un filo d’aria che pian piano abbassava il livello d’umidità
e dallo specchio, dove aveva passato la mano, la condensa si era accumulata
formando una piccola goccia che lentamente scendeva verso il basso, proprio
sulla sua immagine riflessa, proprio all’altezza della sua guancia.
La sua immagine
riflessa sembrava piangesse, quelle lacrime che Giulia aveva versato in tanti
anni di difficoltà e che ora non aveva più da versarne.
Però in quel
momento lei era sola con se stessa e nessun altro la poteva vedere.
Passò la mano
sulla specchiera e quella lacrima rimase lì.
Capì allora che
non era la condensa, ma era veramente una lacrima uscita dai suoi occhi, una
lacrima che le stava in quel momento solcando le guance per avviarsi verso il
mento.
Riconobbe in
quel mentre gli occhi lacrimosi di quando era bambina e la goccia di pianto al
passaggio sembrava lasciare una pelle diversa, una pelle nuova, come rinata.
Si sciolse i
capelli e tolse l’asciugamano, rimanendo nuda di fronte la superficie
riflettente.
Aveva necessariamente
bisogno di gettare un ponte tra il passato ed il presente, aveva necessità di
riconoscersi ed accettarsi nuovamente per quella che era.
Aveva bisogno di
essere assolutamente presente, presente a se stessa ma non solo, presente anche
a tutti i suoi cari che avevano bisogno di lei, che contavano su di lei, sulla
sua grinta, sulla sua carica, sulla sua solidità morale e spirituale.
Aveva lottato
tanto per quello che era riuscita ad ottenere e niente, nemmeno il tempo che
inesorabilmente trascorreva, poteva far vacillare quella stabilità tanto
sospirata.
La lacrima
continuò a scendere fino a lambirle le labbra, tanto da poter saggiare quel suo
sapore salino, e quel sapore svegliò in lei antiche memorie, quella lacrima
gettò per lei il ponte con il passato.
Era lo stesso
sapore, quel sapore che da bambina aveva saggiato per un amore non compreso o
non ricambiato, quel sapore che aveva provato di fronte alla malattia, una
sofferenza o una preoccupazione.
A quel sapore
Giulia, in ogni frangente della propria vita, aveva risposto con tutta
l’energia che aveva in corpo, facendo fronte a tutte le difficoltà che gli si
erano presentate durante la vita, con un sorriso e tanta determinazione.
Era quella la
molla che serviva per andare avanti, era quella la risposta di cui aveva
bisogno, aveva ancora tanto di fronte a se da fare ed anche se il tempo non
mancava, sapeva che di tempo non ce n’è mai a sufficienza.
Non c’era tempo
da perdere di fronte alla propria immagine riflessa, che nessuno specchio
mendace avrebbe mai potuto rimandare l’immagine veritiera di quella Giulia.
Prese con forza
la maniglia, ora la terza Giulia sapeva cosa doveva fare.
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