lunedì 27 agosto 2012

«Servire, a qualcosa» il racconto di Kazal Kanwar per il concorso "Indagine su Giulietta"


 “... al mio lubrico pié le flessuose linfe disdegnando sottragge”, Giulietta sbuffò. Decise che non avrebbe perso tempo a studiarsi l'ennesima donnetta immortalata in una stupida poesia,
di quattro strofe per endecasillabi e settenari. Click. Guardò l'immagine nitida della fotocamera otto megapixel del suo Iphone, luminosa, nitida, perfino la parafrasi sembrava togliersi quel suo aulico fine didattico.
Click. Ammiccò provocante davanti al mirino severo di quel mostriciattolo nero.
Sbuffò di nuovo. Gli occhi troppo incavati, lo “smokey eyes” liquefatto, le labbra a ranocchia,
gli zigomi smunti, il seno troppo piatto, evitò con cura di guardare il naso. Avviò photoshop.
Le dita scorrevano in una sorta di delirio mistico, cancellavano, alzavano, ritoccavano.
Ora poteva guardarsi, sexy sussurrò cercando nelle sue corde una voce suadente. Postò la foto su Facebook. Chissà in quanti avrebbero cliccato sul “mi piace”.
Sospirò. Due profili. Due identità. Doppia fatica. Click. Postò sul profilo vero la sua espressione di brava ragazza annoiata, con la coda e gli occhiali. Patetico. Abbassò gli occhiali di poco.
Riprese il suo sguardo accattivante. Click. Avviò photoshop. La pelle diafana illuminata da pixel intrusi.
Arte post moderna ripeté. Era la maestra di photoshop, i sinuosi movimenti del mouse erano capaci di creare, coprire, distruggere, mutare ogni cosa.
Postò la foto sul profilo “Jolie Jo Sensual”.
Le dita tamburellavano ansiose, in attesa di contare tutti i “mi piace” per la sua foto.
Sua madre che pateticamente aveva imposto la sua amicizia sul profilo vero non aveva scoperto nulla. Eppure controllava tutto. Tutta la sua vita, gli abiti, il trucco, le amicizie, la scuola.
Giulietta ghignò studiando quella sua nuova foto.
“...arcano è tutto fuorché il nostro dolor”. Sbuffò di nuovo. Il tuo dolore bella, pensò lei, stava nel non aver avuto un mondo dove nessuno ti conosce e puoi fare tutto. Il suo, di dolore, era il naso, decise che avrebbe chiesto la rinoplastica per il suo compleanno. Ma “rifare” pensò che fosse una brutta parola.
Un suono la riportò per terra. Era un messaggio esterno. Che strazio. Ancora lui.
“perché mi hai eliminato?”. Boh, Giulietta non ricordava, probabilmente era stata sua madre, “stronza” pensò lei.
Quella donna aveva accesso al suo account. Come cavolo facesse a trovare la password era un mistero. Motivo doppio per avere una seconda vita.
Figo pensò osservando la foto del profilo. Lo conosceva da poco, sei messaggi in tutto.
Cosa doveva rispondere a quel Romeo? Che nome idiota.  
Cliccò sull'altra scheda. Odiava quel sito: seduzioneincorso.com. Cliccò sulla voce “sedurre in rete”. Poi su “come adescare un uomo”. Sulla recensione di “capitale erotico”
“è stata la stronza di mia madre”- rispose risoluta. Invio. - “ti va di scendere giù?”- la replica arrivò subito-
Tornò sull'altro sito. Che palle. Vita ingiusta. Le sue amiche avevano già capito tutto della vita e
non avevano avuto bisogno di quel sito. Lo detestava, si abbeverava di quei consigli, assimilava come aria quei decaloghi di conquista e osservava per ore le foto delle sue amiche, con quelle pose da copertina. Le vedeva ballare sinuose nei locali, lasciando che il corpo scivolasse in mani estranee, le vedeva sguazzare nell'alcool per poi risalire su cubi, illuminate come dee da luci stroboscopiche. Sentì un briciolo d'invidia pervaderle le viscere.
Lei non poteva, loro sì. Lei poteva nel mondo virtuale.
“Giulietta scendi, papà ti chiama”- la madre di Giulietta entrò nella stanza, automaticamente arricciò il naso toccandosi i boccoli color caramello, fissava disgustata il nero corvino liscio della figlia, striato da extension blu e fucsia - “non oggi ti prego - Giulietta alzò gli occhi, detestava farsi ricordare in ogni istante della sua vita che a aveva rovinato un'eredità naturale- e non sono Giulietta, sono Jolie”- con quel corpo pensò la madre, quella disgraziata non doveva nemmeno pensare di fare l'ombra di Angelina, ricacciò dentro il pensiero- “al massimo ti chiami Jolie, tesoro, scendi giù al bar, dagli il cambio”-

“... in che peccai bambina, allor che ignara di misfatto è priva la vita”- sì, piangi pure pensò Giulietta scendendo al bar, detestava il suono lamentoso e il palese vittimismo che c'era in quel canto. Uno strazio.
Fosse nata qui, ora, le avrebbe consigliato il suo chirurgo plastico di fiducia, quello che le aveva tolto la cellulite. Faone non avrebbe fatto tanto il prezioso, culturista idiota. Si sentii strana, provò una sensazione piacevole nell'insultare Faone, quasi come se Saffo potesse trarne sollievo.
Scosse la testa. Stupidi pensieri da sfigata.
Notò un giovane moro avvicinarsi al bancone, la pelle abbronzata spiccava sotto una maglietta Dolce e Gabbana, visibilmente tarocca. Gli occhiali da sole “Ray Ban” verde acido stonavano con tutto il guardaroba “made in Cina”, parte della fronte era coperta da una frangia molto emo.
Figo, pensò Giulietta, anche se nella foto del profilo era meglio, sospirò, chissà che non fosse un maniaco - “sei tu Romeo, l'idiota che continua a mandarmi messaggi su Face?”- “Eccolo”- esclamò lui, appoggiandosi languido al bancone, si tolse gli occhiali. Figo, non poteva fare a meno di ripensarlo, Romeo non aveva un corpo atletico, in compenso aveva dei begli occhi.
Adesso doveva solo attaccare bottone - “che nome del cazzo”- fece risoluta- “a parlato la Jolie”- fatto. Ora? 
Continuava a guardare i suoi occhi, adorava quel mogano. Avrebbe voluto fargli una foto, la mano vibrò a contatto con il suo Iphone, nella foto del suo profilo quegli occhi non si vedevano.
Chissà se Faone aveva degli occhi come i suoi. No. Quell'insensibile non ne aveva, era Saffo ad essere l'idiota.
Romeo continuava a non dire niente, aveva pure smesso di ammiccare sensualmente.
“arcano è tutto, fuorché il nostro dolor”. Dopotutto non era un'idiozia. Stupidi versi.
Si rese conto di non avere nulla di cui parlare tranne della sua famiglia - “tu sei figlio di quelli davanti, neh?”- fece lei a mo' di sfida, automaticamente Giulietta guardò verso la strada, dove c'era la pizzeria aperta in contemporanea al loro bar - “già, bella pizzeria la nostra”- fece lui
“già, ti servo qualcosa?”-
si morse la lingua. Stupida parola. Servire. Come dire “chiedi e avrai”, picchiettò con le dita sul bancone. Servire ripeté con forza, voraci pensieri cominciarono a pulsarle sulle meningi.
Saffo aveva servito. Servito la bellezza oggettiva e ne era rimasta impigliata. Romeo chiese una pina colada, inconsapevole del tumulto di lei.
“Ai tuoi non stizza se parlo con te?”- chiese lui titubante, la sfrontatezza volgare aveva lasciato posto all'incertezza - “non sanno che sei qui e i tuoi?”- giocherellò anche lui sul tavolo “sanno che sono qui, e sanno che qui c'è qualcosa che ehm m'interessa”- si rimise gli occhiali Ray Ban, riassunse l'espressione languida di prima – la figlia del proprietario della baracca è una bomba assurda”- Giulietta s'inumidì estrosamente le labbra, riprese anche lei l'espressione sexy che provava ogni sera davanti all'iphone.
Drizzò la schiena, aiutando il push up ad ingrandire illusoriamente il seno- “allora ciao zio”-
guardò Romeo andare verso l'uscita, ma lui si girò di nuovo, “ e se ti chiedo di nuovo l'amicizia su face?”- Giulietta sorrise, la mano stretta all'Iphone prese la bibita lasciata del ragazzo.
“ Me non asperse del soave licor del doglio avaro Giove”- mugugnò. Ancora la sensazione di benevolenza per Saffo non se n'era ancora andata.
Quante chiacchiere quella donna. Che piagnisteo. Che lagna. Un solo “no” aveva creato questo lungo canto di vittimismo puro. Fosse nata oggi, con lei, magari non sarebbe stata felice comunque.
Anche se avesse letto e riletto “seduzioneincorso.com” centinaia di volte, forse avrebbe scelto questa fine.
Un pensiero sottile come un capello toccò la deriva della sua mente. Non capì Giulietta cosa volesse da lei quel pensiero.  Strinse l'Iphone ancora di più - “... morremo. Il velo indegno a terra sparto”- sbuffò al ricordo di quel verso. Forse la scelta di buttarsi da una scogliera non era stata così sbagliata, non si era uccisa per passione, magari voleva eliminare quel corpo rifiutato, come una femminista ante literam. Come quelle sceme che avevano dato al rogo i reggiseni.
Posso io farlo? Si chiese lei. Chissà, togliere la propria parte che serve qualcosa, qualcuno, tutti. “Forse” si rispose. Bevve la bibita, magari la rinoplastica non se la sarebbe fatta. Forse.




































    

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